Abano Terme, lunedi 16 aprile 2018 - Il saluto del cardinal Francesco Montenegro, presidente di Caritas Italiana – Questo 40° Convegno delle Caritas si svolge in un luogo significativo. Siamo ad Abano Terme, diocesi di Padova. La diocesi di monsignor Giovanni Nervo, primo presidente di Caritas Italiana e di monsignor Giuseppe Pasini, che lo ha affiancato dall’inizio e poi ha diretto la Caritas dal 1986 al 1996. Due sacerdoti che con il loro pensiero e la loro testimonianza di vita hanno lasciato alla Chiesa un’eredità che continua a produrre proposte nuove e frutti di autentica misericordia e carità.
A partire dal titolo, si colloca nella prospettiva degli Orientamenti Pastorali della CEI “Educare alla vita buona del Vangelo” e del Sinodo dei Vescovi sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” (ottobre 2018). I giovani che, come sottolineato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della visita di papa Francesco al Quirinale, “con il loro instancabile fervore e con un entusiasmo sempre rinnovato, ci interpellano; e richiamano alla necessità di esercitare la nostra responsabilità, individuale e collettiva, nell’elaborare politiche di crescita al passo con i tempi”.
Lasciamoci dunque interpellare e poniamoci in ascolto in maniera sempre nuova, dinamica, generativa. Come organismo ecclesiale, mettiamoci soprattutto in relazione, mettendo in gioco noi stessi e le nostre sicurezze, per crescere tutti insieme alla scuola della carità. Il servizio nostro servizio diventa così opportunità di crescita personale, esercizio della capacità di tessere legami, di riannodare fili, di ricreare calore attorno alle persone.
L’interrogativo in altre parole va posto non tanto su come dare risposte, quanto piuttosto su come stare di fronte, su come stare accanto, facendoci appunto prossimi, compagni di viaggio, condividendo la vita…le gioie e le speranze.
In questa cornice occorre avere come punto di riferimento costante il fatto che, come dice Papa Francesco non siamo di fronte ad un’epoca di cambiamenti, ma a un cambiamento di epoca.
In sostanza noi tutti, e i giovani in particolare, quasi non siamo più protagonisti attivi della nostra vita, le opzioni che si fanno sono piuttosto indotte da contingenze, da necessità piuttosto che da autentiche scelte di vita.
Occorre allora dare forma insieme a uno sviluppo solidale di comunità. Non si tratta quindi di fare di più, ma di essere più consapevoli, in particolare dei cambiamenti che stanno modificando i nostri territori e che pongono in maniera ancora più pressante la domanda su come offrire risposte adeguate a questo tempo e ai bisogni che incontriamo. Non solo occorre innovare lo stile della prossimità e delle relazioni, ma bisogna mettere a disposizione il capitale fiduciario, sociale e relazionale che le Chiese locali rappresentano, come strumento per costruire coesione e come premessa per forme di sviluppo locale in parte ignorate e in parte da riscoprire, al fine di contribuire alla ricostruzione di comunità territoriali consapevoli, solidali e capaci di speranza. A partire proprio dai giovani.
Per opporre alla società dello “scarto” un nuovo modello che non metta da parte gli esclusi; per costruire un ecosistema favorevole all’uomo, verso quella “ecologia integrale” indicata da Papa Francesco nella Laudato Si’, in cui il valore della solidarietà unito a quello dell’assunzione di responsabilità, personale e collettiva, possono produrre risultati concreti.
Utopie? Forse. Ma – come sottolineava don Tonino Bello al quale venerdì prossimo, a 25 anni dalla morte, anche papa Francesco renderà omaggio recandosi ad Alessano e Molfetta – “così a portata di mano, che possono finalmente diventare carne e sangue sull’altare della vita”.
Solo così saremo anche in grado di ristabilire alcuni primati che, oggi, appaiono invertiti rispetto al loro ordine: il Vangelo sulla legge; l’uomo sulle regole dei codici; il servizio sul potere.