È stato rinominato come “l’armadio della vergogna”. Un archivio contenente fascicoli e documenti attestanti i crimini nazisti più efferati compiuti nel nostro Paese, rimasti chiusi per oltre quarant’anni in uno sgabuzzino della cancelleria della procura militare nel Palazzo Cesi-Gaddi a Roma. Vittime e carnefici, luoghi e prescrizioni sono stati fermi in quell’armadio con le ante rivolte verso il muro e isolate da un cancello chiuso a chiave.
Poi, nel ’94, il procuratore militare Antonio Intelisano ritrovò i dossier e tra i cumuli di polvere rinvenne anche un promemoria prodotto dal comando dei servizi segreti britannici dal titolo Atrocities in Italy (frutto della raccolta delle testimonianze e dei risultati dei primi accertamenti effettuati sui casi di violenze da parte dei nazifascisti) che al termine della guerra era stato consegnato ai giudici italiani.
Archiviati provvisoriamente, i carteggi documentavano tra gli altri stermini anche l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema del ’44 (episodio in cui persero la vita 560 donne e bambini). Il primo ad aver sollevato il tema dell’occultamento dei fascicoli fu il giornalista Franco Giustolisi, che aprì la strada alle indagini della magistratura sulla vicenda delle ante della vergogna.
Ragioni di stato avrebbero influenzato l’insabbiamento: la guerra fredda e il delicato contesto internazionale avrebbero imposto il silenzio per tentare di aprire una nuova pagina di storia. Ora però i documenti sono stati definitivamente portati alla luce. Il presidente della Camera, Laura Boldrini, ha annunciato lo scorso 15 Febbraio 2016 la disponibilità dell’archivio completo dei documenti contenuti nell’Armadio della Vergogna sul sito dell’archivio della Camera.