Punto primo, «magari non è cosa molto conosciuta dall’opinione pubblica, ma già oggi in Italia, accanto a circa 47mila detenuti in carcere, ce ne sono quasi altrettanti in esecuzione penale esterna e, quindi, se davvero quest’ultimi fossero un grave problema di sicurezz il nostro Paese sarebbe piuttosto inguaiato». Punto secondo: la realtà, però, è che «fra coloro cui è consentito di scontare fuori dagli istituti penitenziari tutta o parte della pena, i casi di recidiva, ossia di ex detenuti che tornano a commettere reati una volta in libertà, sono appena il 15% del totale contro circa il 50% di chi, invece, deve trascorrere tutta la durata della condanna in carcere». Ecco perché per Fabio Prestopino, da quasi quattro anni direttore del carcere “Don Bosco” di Pisa e in precedenza alla guida degli istituti penitenziari di Palermo, Agrigento, Messina e Trapani, progetti come “Misericordia Tua”, la casa d’accoglienza per ex detenuti che la diocesi di Pisa intende realizzare nella canonica della chiesa di Sant’Andrea a Lama, a Calci, sono «piccole gocce in un mare di bisogno ma di cui proprio non si può fare a meno» e le resistenze e timori del vicinato, che si è costituito in in un comitato per impedire che il progetto sia realizzato nell’immobile individuato dalla Chiesa pisana, «possono essere comprese ragionando da comune cittadino, ma da operatore carcerario, con oltre 20 anni d’esperienza so bene che è importante trovare un equilibrio …»
Quindi?
«Penso che la serietà e la credibilità che la Caritas e la diocesi di Pisa si sono guadagnati in tanti anni di lavoro , siano già di per sé una garanzia importante anche per quel che concerne la sicurezza e l’impatto che il progetto può avere sul territorio circostante. A questo, però, aggiungo anche la stretta collaborazione con l’istituto penitenziario che dirigo dato che anche noi siamo coinvolti nel progetto. E al riguardo non ho alcun problema ad assumermi pubblicamente un impegno …»
Prego.
«Le persone che, quando il progetto sarà operativo, invieremo alla casa di Calci saranno valutate con la massima attenzione e sotto molteplici profili. D’altronde proprio questo è uno dei motivi che spiega la ridotta recidiva dei detenuti che hanno scontato una parte della pena in esecuzione penale esterna …».
Si spieghi.
«In carcere ciascun detenuto fa un percorso che cerchiamo di osservare e valutare nel modo più attento possibile per capire se possano, o meno, accedere alla possibilità di trascorrere all’esterno del carcere almeno una porzione della propria condanna. Nella valutazione, ovviamente, teniamo conto, certo del giovamento che può trarne il detenuto, ma anche di tutti gli aspetti e profili di sicurezza collegati al fatto di rimettere in libertà persone che si sono macchiate di reati».
Nel territorio pisano ci sono già progetti simili a “Misericordia Tua”?
«C’è il centro “Oltre il Muro” e poi due piccole strutture gestite, rispettivamente, dall’associazione “Prometeo” e dalla Cooperativa “Don Bosco”. Stiamo parlando di piccole strutture che possono accogliere pochissime persone contemporaneamente mentre i bisogni sono notevolmente superiori. Se può essere utile, comunque, preciso che in queste esperienze non si sono mai palesati problemi particolari di sicurezza e relazioni con il vicinato. Ciò accade per motivi facilmente comprensibili …».
Quali?
«Per chi beneficia di questo tipo di opportunità, la struttura che li ospita è un’opportunità unica, da tutelare e custodire nel miglior modo possibile: quindi non solo i detenuti in esecuzione penale esterna non delinquono nelle vicinanze del centro che li ospita, ma molto spesso sono a vario titolo impegnati nella cura della struttura d’accoglienza che li ospita e dei dintorni».
Quali sono i tre problemi principali del carcere di Pisa?
«Intanto c’è un’esigenza generale di riformare l’esecuzione penale in carcere. Per quel che riguarda nello specifico il “don Bosco”, invece, penso che in città dovremmo misurarci di più con il rapporto tra diritti e doveri perché aver lasciato radicarsi sul territorio una piccola ma forte comunità di spacciatori e piccola delinquenza è quanto di peggio potessimo fare. Infine mi lasci citare anche la questione della detenzione femminile: a Pisa accogliamo detenute da tutto il sud-est della Toscana dato che siamo l’unico istituto in grado di accogliere anche le donne in questa porzione della regione. Con i conseguenti disagi causati dalla lontananza dalle famiglie».
Il sovraffollamento, non è un problema?
«Non il principale: in questo momento abbiamo 270 detenuti a fronte di una capienza di 219. In passato, però, siamo arrivati anche ad averne quattro cento».
C’è qualcosa, invece, da salutare positivamente nel rapporto fra carcere e città?
«Assolutamente sì: penso in particolare al fonte senso di solidarietà tra carcere e comunità esterna. E’ una risorsa importane e anche piuttosto rara, che non ho quasi mai riscontrato altrove».
Francesco Paletti