“La carità non è un gingillo da indossare ogni tanto, è la tuta di ogni giorno” e compito della Caritas “è aiutare il povero e aiutare la comunità a comprendere”. Lo ha detto ieri pomeriggio, lunedi 18 aprile, il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente di Caritas italiana, nella sua prolusione in apertura del 38esimo convegno nazionale delle Caritas diocesane intitolato “Misericordiosi come il Padre. ‘Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso’ (Lc 6,36)”, in corso fino al 20 aprile a Sacrofano (Roma). Citando La Pira “teologo della città” il cardinale ha invitato a “riattualizzare e rivitalizzare le cinque vie indicate ai suoi tempi: il tempio, la casa, la scuola, l’officina, l’ospedale”. “Bisogna moltiplicare gli sforzi – ha affermato – e stimolare sempre di più la politica”. “Se i modelli di sviluppo sono ancora dominati dal mito della crescita indefinita e persiste una cultura individualistica dell’ognuno per sé’ che crea ingiustizia e lascia morire, e se gli uomini di governo e di potere non sono in grado di sottrarsi a questo mito e a questa cultura, le comunità cristiane non possono non sentirsi interpellate da questi fatti”, ha sottolineato: “Non è possibile costruire un futuro migliore senza pensare alla crisi ambientale e alle sofferenze degli esclusi, perché sappiamo che le cose possono cambiare”.Da qui l’invito a un’azione pedagogica, per creare una “cittadinanza ecologica” che “non si limiti a informare ma riesca a far maturare e a cambiare le abitudini in un’ottica di responsabilità”.
Inevitabile un riferimento anche all’emergenza migranti: “I fatti di Lampedusa e di Lesbo per noi cristiani sono molto di più. Come comunità cristiane a volte stentiamo a pensare che questi uomini che passano con le barche sono Cristo che passa. Se trascuriamo l’uomo che soffre e muore, tradiamo quelloche il Signore ci chiede”. Montenegro, che è anche vescovo di Lampedusa ed ha accolto tre anni fa il Papa nell’isola, ha ricordato “la storia più recente, nel Mar Egeo, in Grecia, ma anche quanto accade oggi nella nostra carissima Europa, in Ucraina, tra Armenia e Azerbaigian, nel nostro Mediterraneo, in Libia, in Terra Santa, e in tutti i teatri di fame e conflitti dimenticati, in aree di crisi del mondo, sempre più numerose e violente, a partire dalla Siria”. “Se ci sono popolazioni che si spostano – ha aggiunto – vuol dire che la storia cambia e noi siamo chiamati a diventare protagonisti, avere il coraggio di metterci in prima fila e aprire nuove frontiere, risvegliare le coscienze, anticipando i fenomeni e gli scenari futuri”.