”Cappellani militari sì. Ma senza stellette e alle stelle condizioni degli altri parroci”. La posizione di Pax Christi, spiegata dal coordinatore nazionale don Renato Sacco

Pisa, venerdi 13 gennaio 2018 – “Con le tecnologie militari attuali e le armi di distruzioni di massa, non esistono più le guerre giuste. Lo ha ribadito recentemente Papa Francesco ma era già scritto con chiarezza nella “Gaudium et Spes” e nella “Pacem in Terris”, per non dire di quel “la guerra è un’avventura senza ritorno” di Giovanni Paolo II che non ha bisogno di troppi commenti”. E’ partita da qui la riflessione di don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi, intervenuto questa sera, venerdì 13 gennaio 2018, all’incontro “Dai conflitti dimenticati: migranti e rifugiati in cerca di pace” organizzato nella sala “Maccarrone” della Provincia dall’Azione Cattolica diocesana e dalla Consulta diocesana per le aggregazioni laicali e moderato dal giornalista Andrea Bernardini. Per poi spaziare al ruolo dei cappellani militari sui quali da tempo la posizione di Pax Christi è piuttosto critica: “Nulla contro chi decide di portare il Vangelo a chi fa la guerra, ma lo facciano senza essere graduati e alle stesse condizioni, anche economiche, degli altri sacerdoti perché oggi il cappellano militare ha uno stipendio notevolmente superiore a quello dei preti diocesani, tredicesima e quattordicesima, ufficio e autista. Anche se poi rimane un problema di fondo: quando un f24 parte in volo per un bombardamento, a chi dice di obbedire il cappellano? Ai militari o al comandamento che dice di non uccidere?”
L’ultimo passaggio è sulle missioni militari: “Le camere sono chiuse ma mercoledi 17 gennaio il parlamento riaprirà per approvarne una in Niger, un paese con un tasso di analfabetismo altissimo e in cui sarebbe bisogno di maestri e non di militari. Dunque, per lo ius soli il parlamento non è stato riaperto, per la missione militare in Niger sì”

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Durante l’incontro, animato dalle video interviste sui conflitti dimenticati ai coetanei dei giovani del Movimento studenti dell’Azione Cattolica e chiuso dagli interventi del presidente dell’Ac diocesana Lorenzo Mastropietro e dal segretario della consulta diocesana delle aggregazioni laicali Giuseppe Mazzotta, anche la testimonianza di Mervat Sayegh, una studentessa universitaria originaria di Aleppo (in Siria) arrivata in Italia insieme con altri 90 rifugiati grazie al corridoio umanitario “Mediterranean Hope” organizzato dalla federazione delle chiese evangeliche, dalla tavola valdese e dalla comunità di Sant’Egidio di Roma.”La guerra ad Aleppo significa aver distrutto sogni e progetti di una generazione: oggi la mia città e il mio Paese sono irriconoscibili. Ci sono cinque milioni di bambini privati dell’infanzia e che non possono istruirsi e studiare”. E l’intervento di Francesco Lenci, esponente dell’Unione degli scienziati per il disarmo che ha sottolineato come “il potere distruttivo di un’arma nucleare non sia paragonabile a quello di un’arma convenzionale: per avere un’idea su Nagasaki è stata sganciatauna bomba pari a 20mila tonnellate di tritolo. La consapevolezza di questo – ha aggiunto – ha portat  al trattato di non proliferazione del 1970, quando c’erano nel mondo 40mila armi nucleari. Nel 1985 siamo arrivati a 70mila. Oggi, però, nel mondo ci sono 15mila testate nucleari, il 90% dei quali in possesso di Stati Uniti e Federazione Russa”.