“Non si rinnova il mondo e la società senza l’amore che è gratuità verso tutti, senza l’esclusione di nessuno”. La lettera di Natale dell’arcivescovo di Pisa Giovanni Paolo Benotto

Pisa, lunedi 24 dicembre 2018 – Carissimi/e, chi vi scrive è Giuseppe di Nazareth (alias monsignor Giovanni Paolo Benotto, arcivescovo di Pisa) a cui Dio ha affidato Gesù, come figlio, pur non essendone il padre naturale. Vi scrivo nell’imminenza del Natale: sono tante le scene della natività che mi rappresentano come un anziano, vicino a Maria e a Gesù, in una stalla in cui, insieme agli animali, nella notte santa, si fece presente un gruppo di pastori che vegliavano i loro greggi intorno a Betlemme, avvisati misteriosamente dagli Angeli del cielo. Tutti sanno che il figlio di Maria e dell’Altissimo nacque in una stalla perché per noi non c’era posto in alcun alloggio del piccolo villaggio di Betlemme dove andavano a farsi censire i discendenti della stirpe di Davide.

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Nome illustre, unico retaggio per gente povera come noi. Ma come? Un discendente di un re famoso come Davide, nasce in una stalla? In mezzo agli animali? Senza nessuna assistenza? Non vi meravigliate: è successo in ogni epoca e continua ad accadere anche oggi! Però, per favore, non fateci l’abitudine! Fare l’abitudine alle cose più brutte è molto facile; anzi, spesso diventa una specie di “giustificazione” condivisa da molti che prende sempre più piede a forza di slogan ripetuti ad oltranza che finiscono per far apparire “vero” e “normale” ciò che è invece è tragica negazione della dignità della persona umana. Una dignità che ogni persona possiede in quanto tale e che nessuno, ripeto, nessuno, ha il diritto di calpestare o di vilipendere.

MA torniamo a quella notte. Ho detto che di solito mi si rappresenta con la barba bianca di un anziano. In realtà, ero sì un po’ più grande di Maria, la mia promessa sposa, ma anch’io ero giovane. Giovane come tanti giovani di oggi che desiderano un futuro sereno e felice, che sperano di formarsi una famiglia e che invece trovano la loro strada sbarrata da egoismi, da furberie disoneste e da persone che difendono soltanto i propri interessi. Anch’io, insieme a Maria e al Bambino Gesù, ho trovato la mia strada ingombrata da ostacoli incredibili: primo fra tutti il fatto che Maria si trova incinta senza che noi avessimo avuto rapporti: quanti dubbi mi sono nati nel cuore! Eppure ci volevamo bene e ci rispettavamo; e Maria poi, era più pura dell’acqua di sorgente. Poi il nostro andare a vivere insieme mentre il Bambino stava crescendo nel suo seno; poi il doverci spostare da Nazareth a Betlemme mentre Maria stava per partorire; poi la stalla e gli animali che ci circondavano; poi la furia di Erode e il pericolo mortale per Gesù. Umanamente tutto congiurava contro la mia fiducia e la mia speranza. Però vi posso assicurare che il Signore Dio mi è sempre stato vicino e non ha mai mancato di mostrarmi la strada da percorrere.

Qualcuno potrebbe obiettare che io stessi sognando. Sì, sognavo, ma quei sogni non erano illusioni: avevo capito che Dio parla in tanti modi e che sa trovare la strada giusta per parlare al cuore di ciascuno; per rassicurarci nelle nostre indecisioni; per sostenerci nelle nostre fatiche. Mi sono fidato di Dio, così come poi mi sono fidato di Gesù. E non ho sbagliato. Quanti giovani, anche oggi sentono nel loro cuore l’appello interiore a cose grandi, ad una vita bella, a mettersi in gioco nella gratuità dell’amore, a fidarsi di Dio e della parola del Vangelo di Gesù! Ma quanta paura nel decidere a seguire questa parola di vita! E soprattutto, quante parole cattive circondano i giovani di oggi; parole che li strumentalizzano e che impediscono loro di credere e di lavorare per un mondo che sia davvero aperto all’amore, all’accoglienza e alla fraternità. Con l’esperienza che mi sono fatto, non riesco davvero a capacitarmi come sia possibile pensare di rinnovare il mondo e la società, – cosa che molti proclamano – se non si dà spazio all’unica realtà che può davvero rinnovarci tutti e che è l’amore.

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Amore che è gratuità verso tutti senza l’esclusione di nessuno; amore che è servizio, senza strumentalizzare niente e nessuno; amore che è accoglienza senza chiudere la porta a nessuno; amore che è condivisione senza esclusioni arbitrarie verso chi è diverso da noi. Vi devo confessare un’amarezza che non è solo mia, ma anche di Maria, la mia sposa. Noi ogni anno siamo davvero felici di poter fare la nostra parte nel Presepio per la gioia dei bambini e per suscitare nei grandi il ricordo di quelle sensazioni belle che hanno accompagnato la loro infanzia e giovinezza e che rimangono riferimento incancellabile, di cui si ha nostalgia, specie quando ci si ritrova soli e privati degli affetti più cari. Il Presepio è un segno di tenerezza e di ritorno ai valori della semplicità e dell’umiltà; un segno di umanità e di fede cristiana; e questo è ciò che mi consente di stare nel presepio con orgogliosa amorevolezza; un segno che vuole unire tutti nella realtà umanissima della vita che nasce e che avvolge di amore che viene dall’Alto il cuore di ogni persona che cerca l’amore vero: perché farlo diventare segno da utilizzare contro qualcuno? Vi confesso che in qualche momento mi era venuto l’impulso di dire a Maria: andiamocene, perché forse, questa, non è aria per noi! Ma siamo rimasti e rimarremo sempre in mezzo agli umili e ai semplici che amano, perché Gesù è il Figlio amato del Padre celeste che si è fatto carne, il segno più bello e concreto che esiste un’unica famiglia per tutti gli uomini della terra, una famiglia per la quale nessuno è straniero. Per questo, buon Natale a tutti, nessuno escluso, con la gioia di saper riconoscere nel volto di ogni persona un fratello o una sorella che Dio ama e che ci è offerta perché questo amore, nella concretezza delle relazioni reciproche, tutti unisca nell’unica famiglia dei figli di Dio.

 

Giovanni Paolo Benotto

*Arcivescovo di Pisa