Il lavoro di osservazione svolto grazie agli operatori dei Centri di Ascolto Caritas traccia traiettorie di povertà che possono supportare i territori e le comunità a declinare insieme piste di lavoro volte ad accompagnare le fragilità e a contrastare la povertà, in un impegno condiviso, che richiama tutti: Istituzioni, comunità ecclesiali,Terzo settore, società civile ad un impegno radicale.
I dati raccolti invitano ad un riflessione in primis la comunità ecclesiale, impegnata nello sforzo di ridefinire i contorni del suo impegno sociale per la costruzione della giustizia e dell’inclusione.
Dall’altra parte, facilitano un confronto franco con le Istituzioni civili, suggerendo loro alcuni spunti di attenzione e possibili piste di lavoro.
In queste ultime pagine, a partire dai dati del Rapporto, le Caritas della Toscana tentano di articolare proposte da condividere con la regione Toscana e le Istituzioni locali, nella convinzione che una rinnovata alleanza territoriale contro la povertà possa raggiungere l’obiettivo comune di costruire una Toscana attenta ai fragili e impegnata per la giustizia, l’inclusione e l’equità.
Prevenire la povertà, combattendo la disuguaglianza: garantire il lavoro buono
I dati del Rapporto anche quest’anno evidenziano un “orizzontalizzarsi” della povertà che, da alcuni anni, si attesta quale fenomeno ampio, che riguarda la vita di un numero grande di uomini e di donne.
Al crescere delle situazioni di povertà, crescono anche i fenomeni di disuguaglianza[1] nella nostra Regione e crescono le percentuali relative agli “working poor”, persone costrette a cercare aiuto ed assistenza nonostante risultino occupate.
Il tema del “cattivo lavoro”, del lavoro mal pagato o poco tutelato è uno dei temi che le storie delle persone accolte nei Centri di Ascolto riportano in primo piano.
Questa consapevolezza ci chiede di investire prima di tutto in azioni preventive, ritornare ad immaginare comunità che non solo accompagnano i poveri, ma si pensano in modo da ridurre fin da subito il rischio che la povertà attraversi la vita delle persone.
In tal senso appaiono decisive politiche volte a rafforzare il livello salariale minimo e a garantire il lavoro e l’occupazione in modo deciso e attento ai diritti del lavoratore.
Accanto a questo, torna centrale una battaglia “senza se e senza ma” contro il lavoro nero ed ogni forma di caporalato e sfruttamento ai danni dei lavoratori, che ancora attraversa i nostri territori, con punte di allarme nelle nostre campagne, in alcune aree industriali e in dinamiche tutte da comprendere di economie sommerse e anche di rapporti tra le diverse etnie che compongono la variegata immagine dell’impresa migrante oggi.
La sfida della povertà di genere: la conciliazione dei tempi vita e lavoro
I dati 2018 tornano a parlare di una maggioranza femminile che si rivolge ai Centri di Ascolto, tornando a prefigurare una genderizzazione della richiesta di aiuto, se non della povertà stessa.
Contestualmente invitano a non rilasciare i temi della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, promuovendo forme di welfare territoriale e aziendale a sostegno delle famiglie: telelavoro, flessibilità, mobilità sostenibile, supporto nella cura dei figli e dei familiari disabili e anziani, condivisione dei bisogni domestici, tornano ad essere temi centrali nella lotta alla povertà e la disuguaglianza, intesa come tentativo di costruire comunità più inclusive e più eque, riducendo il numero di persone che sperimentano povertà.
Nuove forme di sviluppo: investire in economia civile
In questo quadro, appare una sfida bella ed attuale accompagnare le esperienze di “economia civile” sui territori, promuovendo con tutti i mezzi quelle esperienze in grado di porre al centro del proprio progetto di impresa il rispetto e l’accompagnamento delle persone, la sostenibilità ambientale, l’idea del lavoro come espressione piena di umanità.
Cooperative sociali, cooperative di comunità, ma anche forme nuove di impresa sociale e innovativa, in grado di valorizzare le idee di territorio, supportandole nella concretezza.
La famiglia al centro: accompagnare gli ecosistemi familiari
Le giovani famiglie sono anche quest’anno la percentuale più significativa tra quanti si rivolgono ai Centri di Ascolto, tornando a illuminare una situazione di fragilità e di solitudine istituzionale che inevitabilmente riguarda in modo tragico anche i bambini, i minori.
In questo senso, è necessario aprire in primo luogo una riflessione sulle misure di sostegno alle famiglie, capaci di prendersi carico non solo dei bisogni degli adulti che compongono i nuclei, spesso frammentati, fratturati, soli, ma anche i bambini che vi abitano portatori di bisogni inespressi e spesso inascoltati.
I bisogni delle famiglie fragili aprono una finestra anche sulla necessità di immaginare sempre l’accompagnamento delle storie di povertà come accompagnamento di più soggetti, di ecosistemi familiari, insistendo non solo su misure a sostegno degli adulti che costituiscono il nucleo, ma anche dei bambini, portatori di bisogni non detti, inespressi, eppure tragicamente presenti e mortiferi per un futuro di autorealizzazione piena.
Questa consapevolezza invita a immaginare servizi di accompagnamento personalizzati per ogni nucleo familiare, in un’attenzione alle storie individuali, affiancamento tailor made, che puntino sulla riattivazione delle capacità residue e sulla voglia di riscatto delle persone che sperimentano fragilità.
In questo lavoro di cura, non di meno deve essere garantita attenzione anche alle solitudini e alle solitudini anziane.
L’attuale organizzazione familiare spesso condanna gli anziani a nuove forme di isolamento e rende loro più difficile collegarsi alla comunità ed anche chiedere aiuto.
Ripensare forme di contatto con i bisogni degli anziani fragili e presidiare i territori per farsi vicini appare oggi una sfida irrinunciabile.
Non uno di meno: comunità educante e strumenti di accompagnamento per i giovani fragili
Le caratteristiche dei giovani adulti in povertà correlano in modo molto significativo con un titolo di studio basso e indicano con decisione la strada del contrasto alla povertà educativa quale via irrinunciabile per l’eradicamento della povertà.
Lottare contro la povertà educativa oggi significa immaginare insieme azioni non solo di di accompagnamento alla scolarizzazione e allo star bene a scuola. Significa invece molto di più: ripensare il paradigma della formazione e porre di nuovo la scuola al centro della vita e della sollecitudine della comunità, disegnando una “scuola -comunità”, una “comunità educante”, tesa all’inclusione di tutti i bambini, l’accompagnamento dei più fragili tra loro. L’obiettivo non è solo quello di tenere tutti dentro il sistema scolastico, ma di declinare una scuola accogliente e a misura di tutti, capace di appassionare al sapere e consegnare al domani cittadini immunizzati dal rischio di rimanere ai margini.
L’impegno per la costruzione di reali percorsi di contrasto alla povertà educativa non riguarda dunque solo le Istituzioni scolastiche, ma tutto il territorio e tutte le comunità.
Chiede alleanze nuove tra Istituzioni, Terzo settore, cultura e sociale, famiglie e comunità docenti, riportando la formazione e la cultura al centro dell’interesse della politica regionale, riprendendo sul serio il motto del “non uno di meno”.
Nell’ambito di questa riflessione, appare fondamentale ricentrare l’attenzione su una indagine approfondita dei bisogni dei giovani fragili, fuoriusciti dal sistema scolastico e dei cosiddetti NEET. Se il fenomeno dei giovani non attivati né in percorsi di formazione, né in percorsi di lavoro appare particolarmente diffuso anche in Toscana, si ha la percezione che ancora non si sia riusciti a definire proposte davvero in grado di “agganciarli” e tenerli dentro ipotesi di futuro reali.
Accompagnare la povertà con team multicompetenze e educatori di comunità
Altra evidenza che emerge dai dati del Rapporto 2019 è la lunga permanenza delle persone nello stato di bisogno ed il crescere delle povertà ricorrenti.
Tali povertà sono sempre multiproblematiche e delineano profili di bisogno multilivello.
Il dato così netto ribadisce la necessità di costruire insieme interventi di accompagnamento e promozione lunghi nel tempo, distogliendo dalla falsa illusione che possano servire misure spot, discontinue o dal risultato immediato.
In questo senso, è necessario immaginare le misure di accompagnamento alla povertà come misure di medio e lungo periodo, promuovendo una “pazienza istituzionale” nell’accompagnare.
Conseguenza di questo, è la necessità di investire sulle figure professionali del sociale in termini quantitativi ed in termini qualitativi.
I territori devono tornare ad essere presidiati e non bastano solo le figure degli assistenti sociali. E’ necessario investire in “team multicompetenze” che includano educatori, mediatori culturali, mediatori sociali, orientatori.
A questo livello, si apre una riflessione importante sulla necessità di tornare ad investire su competenze specifiche per l’accompagnamento adulto. In particolar modo, serve tornare a ripensare la competenza di un educatore per l’età adulta e per la comunità, il cui ruolo oggi appare centrale e il bisogno emergente. La preparazione di questa figura professionale deve concentrarsi nuovamente sulle dinamiche di costruzione della comunità, sull’attivazione delle energie buone dei quartieri e sulla cura della relazione con gli adulti e in particolar modo gli adulti fragili.
Comunità inclusive: welfare generativo e lavoro di utilità sociale
I dati Caritas raccontano anche che sono le relazioni, la chiave vera dell’affrancamento dalla povertà.
Occorre ribadirlo con forza soprattutto adesso, ai primi passi di misure decisive come Il Reddito di Cittadinanza, necessarie e non sufficienti.
E’ necessario, infatti, che l’accompagnamento alle fragilità venga agito decisamente dalla comunità, da soggetti collettivi, promuovendo il ruolo del volontariato e del terzo settore, in un dispositivo di cura diffusa, di solidarietà feriale, di inclusione porta a porta.
La pista può essere quella di tornare alle soluzioni dei piccoli passi.
In questo senso, agire il contrasto alla povertà, significa anche tornare ad un concetto di corresponsabilità all’interno delle comunità, dove le persone, tutte, possono fare la loro parte.
Da questo ragionamento, in un’ottica di welfare generativo, non sono esclusi senz’altro i poveri.
Occorre dunque ripensare anche le modalità e le esperienze dei progetti di utilità sociale e promuoverne di solidi e di realmente attivanti, perché essi non vengano considerati una sorta di “lavoro risarcitorio” da parte di coloro che scontano la colpa di essere in povertà, ma una palestra di cittadinanza e di inclusione fattiva.
Comunità inclusive: progettare spazi urbani inclusivi
In questa riflessione sulla necessità di tornare ad investire su comunità solidali ed inclusive, appare fondamentale un’attenzione rinnovata verso la progettazione urbanistica delle nostre città.
Diventa centrale ripensare “la piazza”, lo spazio verde, i luoghi collettivi come luoghi dove le persone possono incontrarsi, condividere la partecipazione alla visione della città, superare gli isolamenti e tornare a sentirsi comunità e a costruire impegno.
Le città, al contrario, possono divenire immagini concrete e durissime di segregazione e alimentare il conflitto sociale, la disgregazione e il pregiudizio: basti pensare a come è stata gestita nel tempo una certa edilizia popolare, volano di ghettizzazione e incentivo all’esclusione.
Anche per questo, riteniamo necessario investire anche nell’accompagnamento all’abitare e nella facilitazione nella gestione di situazioni di convivenza complessa.
Valutare la lotta alla povertà: verificare i processi e trarne lezioni
A valle di tutto questo, ribadiamo la necessità di valutare seriamente l’impatto sociale delle politiche e gli interventi di contrasto della povertà, concentrandosi non solo sugli effetti che esse hanno sui beneficiari diretti, ma anche sulla capacità di attivazione e cambiamento che generano nelle comunità, sulla scorta delle indicazioni fissate nelle recenti linee guida, anche con un’attenzione a modalità applicabili in contesti più locali e metodologie partecipate da parte delle comunità.