”… Tutti, però, inaspettatamente, sorridono”. Piccole cronache da Aleppo di Andrea Cioni.

Sono partiti in quindici guidati da suor Elena Bolognesi della Comunità delle Sorelle del Signore di Milano, per sette anni in Siria e fondatrice della comunità monastica di Mar Musa insieme a padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita italiano rapito nel 2013 e di cui da allora non si hanno più notizie. Tutti giovani, quattordici della diocesi di Milano, e uno, Andrea Cioni, 25 anni, dottorando in Giurisprudenza, di quella di Pisa, che ha conosciuto quest’esperienza grazie ai gesuiti della parrocchia di San Frediano.

Per due settimane, fra la fine di luglio e l’inizio di agosto, sono stati ospiti della parrocchia latina di Aleppo, un’esperienza di servizio e condivisione nella città di Aleppo, prima dell’inizio del conflitto siriano il centro economico più importante del paese e patrimonio mondiale dell’Unesco, per quattro anni (2012-2016).

Quello che seguono è il diario quotidiano di quell’esperienza scritto da Andrea Cioni. Lo presentiamo in versione integrale diviso in 11 sezioni. I lettori di questo sito potranno leggerlo ogni domenica e mercoledì. Anche le foto a corredo degli articoli sono legate a quell’esperienza e sono state scattate da Andrea Cioni cui va il nostro ringraziamento per aver messo a disposizione tutto il materiale (fp).

WhatsApp Image 2020-01-17 at 17.37.48

28 luglio 2019. Primo giorno ad Aleppo.

Dopo trenta ore di viaggio, due frontiere superate, tre ore di controllo passaporti e ventiquattro posti di blocco siamo arrivati ad Aleppo. L’abbiamo desiderata ardentemente, e lo abbiamo fatto nonostante gli sguardi stupiti di conoscenti ad amici, nonostante le paure dei genitori, nonostante i pregiudizi di molti.

Il nostro primo impatto è certamente straniante: Aleppo è una città martoriata dalla guerra, dove la morte ha colpito quasi ogni casa, tutti però “inaspettatamente” sorridono per strada e spendono una parola di benvenuto. Soprattutto gli sguardi appaiono carichi di speranza. 
Qui sofferenza e gioia sembrano convivere in un inscindibile corpo armonico, fatto di lacrime e ferite, sorrisi e vitalità.

WhatsApp Image 2020-01-17 at 17.36.16(3)

Ad accoglierci ci sono i ragazzi della Parrocchia Latina della città, guidati da “Abuna” (padre) Ibrahim. L’accoglienza dei ragazzi siriani è quella propria della cultura araba, cioè quella di chi spesso ha poco, ma condivide tutto. Tutto il gruppo italiano rimane sbalordito nello scoprire che la parrocchia non ha mai chiuso nemmeno un giorno durante gli otto anni di guerra, neanche quando un missile ha colpito la cupola della chiesa proprio durante la distribuzione dell’eucarestia. Non importa quanto il conflitto infuriasse vicino, o quanto esso divenisse sempre più cruento e spietato, le porte della chiesa sono sempre rimaste aperte per chiunque chiedesse aiuto.

  • La parrocchia latina di Aleppo
Non ha mai chiuso nemmeno un giorno durante gli otto anni di guerra, neanche quando un missile ha colpito la cupola della chiesa proprio durante la distribuzione dell’eucarestia.

Le prime parole che i ragazzi del luogo ci rivolgono sono di quelle che riescono a penetrare dritte al cuore: “Vi ringraziamo di essere qui, di esserci nonostante tutto, di testimoniarci la vostra vicinanza e di esservi ricordati di noi; per noi significa più di quanto voi possiate immaginare”.

Il primo giorno si conclude con una cena comunitaria, giochi e risate: i giovani sono gioiosi e vitali, sembra quasi di essere in una città “normale”. Già dopo un giorno in tutti noi qualcosa è subito chiaro. E’ sufficiente guardare gli occhi dei nuovi amici siriani per scorgervi dentro una qualcosa di sconosciuto, l’esperienza di chi ha perso e sofferto molto, ma non ha mai smesso di credere e sperare.

“Abbiamo veramente molto da imparare da questa gente”.

 

29 luglio 2019. Secondo giorno ad Aleppo.

Il secondo giorno scorre veloce e lo fa tra la vita e la morte.

Al mattino i ragazzi siriani presentano ci presentano la realtà dell’oratorio. La Parrocchia Latina accoglie più di trecentoventi bambini: oltre a Padre Ibrahim, di loro si prende abitualmente cura un affiatato gruppo di giovani volontari, che dedica anima e corpo alla cura dei più piccoli. Questi giovani sono uno splendido esempio di quale sia il significato più vero e profondo “del prendersi cura”. Qui i bambini giocano, suonano, cantano, ballano: ricercano i loro talenti. Nei giorni del nostro arrivo in oratorio è stata organizzata un’esposizione di opere realizzate dai più piccoli: disegni a mano libera, acquarelli, ritratti e mosaici. Patricia, una ragazza di quattordici anni, è veramente eccezionale, chissà che grazie a quest’esperienza non possa trovare la sua ragione di vita.

Ogni giornata in oratorio inizia rigorosamente con quaranta minuti di balli travolgenti, non c’è bambino che non si lasci andare nelle danze, e sinceramente anche noi abbiamo non resistito a buttarsi nella mischia.

WhatsApp Image 2020-01-17 at 17.35.30(1)

Non importa quanto tu abbia sofferto, se la tua casa è stata distrutta o se hai perso qualcuno durante la guerra. Ogni mattino si balla e si canta, questo è il miglior modo per esorcizzare la paura, per ricordare alla guerra che non è stata capace di soffocare questa fetta dolce e sofferente di umanità. È troppo il desiderio di vivere. “Abbiamo conosciuto la vita”.

  • Aleppo
Secondo stime approssimative sono morte 31mila persone. Alla fine della guerra il 70% della città quasi non esiste più.

Il pomeriggio è dedicato ad una “visita” in quello che fu il quartiere di Jdeydeh. Per la prima volta ai visitatori vengono mostrate le macerie e la distruzione; per la prima volta i loro occhi di giovani europei incontrano la morte e “l’inferno dei viventi”.

Molto in Italia si è parlato di Siria, della sua guerra civile e della morte da essa provocata; ma finché non vedi con i tuoi occhi la devastazione indiscriminata, finché non tocchi con le tue mani la polvere frutto della distruzione, non puoi capire cosa essa sia. Finché non percepisci con il tuo naso l’acre odore dei quartieri distrutti, finché non senti con le tue orecchie i racconti della quotidiana battaglia per la vita dei sopravvissuti non la puoi comprendere. Ma anche dopo aver usato i tuoi sensi qualcosa ti sfugge, la mente non riesce ad afferrare il perché di tanta furia, tutto ciò che hai intorno non ha senso. In questo momento arriva in soccorso il tuo corpo: sei nel mezzo di quella che un tempo era la piazza principale, vedi solo morte e desolazione, a questo punto il tuo cuore inizia a battere forte, la pelle d’oca compare sulle tue braccia, i tuoi occhi si fanno lucidi.

Ti chiedi come abbiano fatto queste persone a sopravvivere e a rimanere durante la guerra, e ad un certo punto ti viene donato il paradigma della resilienza: “Vedete, qui per ognuno di noi, dal più ricco al più povero, dal più sano al moribondo, per il giovane e per il vecchio, esiste solo il presente. A nessuno è concesso pensare al futuro. Tutto è precario, la vita è sfuggente. Pensiamo al presente, viviamo il presente, gioiamo del presente, ringraziamo per il presente.

“Abbiamo conosciuto la morte”.