Pisa, 2 aprile 2021 (da ToscanaOggi-Vita, di Francesco Paletti) - Dal confine con la Croazia, porta d’ingresso sbarrata dell’Unione Europea per migliaia di persone in fuga da guerra e persecuzioni, continuano ad arrivare cattive notizie: «I respingimenti violenti proseguono, nonostante le inchieste giornalistiche dei mesi scorsi» assicura Nello Scavo, 49 anni, inviato del quotidiano L’Avvenire. E’ il reporter italiano che, insieme ai colleghi inglesi del “Guardian”, grazie alle sue inchieste ha acceso la luce sulle violazioni dei diritti umani lungo la rotta balcanica. «Io stesso ho assistito al tentativo di respingimento di una famiglia curdo-siriana, anche se alla fine le forze di polizia croate hanno dovuto desistere proprio per la nostra presenza – racconta -. In quel caso è andata relativamente bene, ma abbiamo visto con i nostri occhi i poliziotti con i manganelli e le catene d’acciaio dentro i furgoni privi di finestrini» racconta il reporter. Per dire che sì Lipa, il campo profughi per soli uomini della Bosnia andato a fuoco alla vigilia di Natale e che ha lasciato al gelo dell’inverno balcanico 950 persone, «è uno scandalo, gravissimo ma è solo la punta di un iceberg: ciò che non si vede non è meno grave e continua tutt’ora ad essere avvolto in un cono d’ombra».Un esempio? «Secondo Save The Children al confine con la Croazia vi sono circa 900 minori e cinquecento di essi vivono co le loro famiglie, nascosti nella foresta, aspettando il momento buono per attraversare il confine». E’ il “game”, come lo chiamano anche gli stessi migranti in fuga. Il gioco, appunto: vincerlo, almeno nei sogni e nei progetti di migliaia di famiglie in fuga, significa libertà, raggiungere parenti e amici in un Paese dell’Unione Europa e lì, finalmente, presentare la domanda di asilo politico. Ma è una lotteria in cui perdere è l’evento più probabile: «Ho conosciuto persone che ci hanno provato almeno per cinquanta volte e sono sempre state sbattute indietro» conferma Nello Scavo. Tentativi falliti di cui portano i segni sulla pelle.
Lipa, dunque, è solo la punta dell’iceberg. Ma da lì bisogna partire per raccontare ciò che accade alle porte d’Europa. Perché l’eventualità che in Bosnia luoghi del genere possano moltiplicarsi non è remota. «Anzi è sicuro che le autorità del cantone di Una Sana, quello al confine con la Croazia e che ospita la maggior parte dei profughi del paese, vorrebbero replicare quel modello» continua il reporter di Avvenire. Che nel campo profughi abbandonato sulle montagne bosniache ha trascorso un’intera giornata: «Sono entrato grazie a Caritas Italiana e Ipsia e sono rimasto per diverse ore, nascosto nella tenda di alcuni ragazzi afghani e così ho potuto vedere e documentare – racconta -: ci sono 15 bagni chimici sparsi in mezzo alla neve per mille persone, non c’è il riscaldamento, il cibo viene distribuito due volte al giorno e proprio Caritas e Ipsia hanno dovuto fare il diavolo a quattro per ottenere la possibilità d’installare a loro spese un tendone riscaldato in cui consumare i pasti, in un campo che è gestito dalle autorità bosniache». Abbandonati a sé stessi. A Lipa e nel resto della Bosnia, un paese in cui la capienza massima delle strutture d’accoglienza è di cinque mila persone a fronte di quasi dieci mila migranti censiti. Chi non trova ospitalità nei campi, si sistema dove può in case ed edifici abbandonati e fatiscenti. «Capita pure – racconta Scavo – che, per lavarsi, bussino alla porta di qualche famiglia bosniaca e paghino fra i tre e cinque euro per cinque minuti di doccia tiepida».