Per adesso sono in due, marito e moglie: lui arriva dalla Sierra Leone e lei dalla Nigeria. «Ma presto saranno in tre dato che nei prossimi mesi nascerà il loro primogenito», racconta monsignor Antonio Cecconi, pievano di Calci, il sacerdote che gli ha aperto le porte dalla canonica di Sant’Andrea a Lama, la casa lungo la strada che dal centro del paese conduce a Castelmaggiore. Una struttura d’accoglienza che ha alle spalle tutta una storia da raccontare: «Sembra quasi che l’ospitalità di coloro che fuggono da guerre e persecuzioni sia quasi nel dna di questa casa visto: qui, infatti, alla fine degli anni ’70, è stata accolta una delle prime famiglie di “boat people”, i vietnamiti in fuga dal regime comunista che c’era allora nel loro paese», racconta il sacerdote all’epoca giovane viceparroco e oggi guida della comunità calcesana dopo essere stato vicario generale della diocesi e vicedirettore di Caritas Italiana. Che spiega: «Di sicuro la canonica di Sant’Andrea a Lama rimarrà una struttura d’accoglienza e ospitalità per chi vive un momento di disagio e difficoltà: insieme alla Caritas diocesana e alla cappellania del carcere “don Bosco” di Pisa, infatti, stiamo pensando di ristrutturarla per destinarla all’accoglienza di ex detenuti in uscita dalle strutture penitenziarie e impegnati nel faticoso percorso di reinserimento sociale. Intanto, però, abbiamo sistemato e riqualificato alcune stanze, ricavandone un appartamento assolutamente confortevole per l’accoglienza di una famiglia di profughi».
La parrocchia di Calci è stata la prima, in diocesi, ad aderire all’invito di Papa Francesco: «Rivolgo un appello alle parrocchie, alle comunità religiose, ai monasteri e ai sentuari di tutta Europa ad esprimere la concretezza del Vangelo e accogliere una famiglia di profughi» ha chiesto il Pontefice durante l’Angelus di due settimane. E così è stato all’ombra della Pieve dei santi Giovanni ed Ermolao, chiesa principale della comunità calcesana. «Anche se, ad onor del vero – racconta il sacerdote – se a Calci siamo stati così “reattivi” rispetto alle parole di Francesco è solo perché ci eravamo attivati un po’ prima del suo appello: già un paio di mesi fa, attraverso la Caritas diocesana e la Società della Salute della Zona Pisana, avevamo dato la nostra disponibilità a fare questo tipo di percorso».
Si guardano intorno i due giovani coniugi, per il momento ancora un po’ spaesati e seguiti quotidianamente dagli operatori della cooperativa Paim. Normale per chi è arrivato in Val Graziosa da appena un paio di giorni dopo aver attraversato prima il Sahara e poi il Mediterraneo su una delle tante carrette del mare che lo solcano. Ma a Calci non sono per nulla preoccupati dell’accoglienza che sarà loro riservata: «Problemi? Non penso proprio che ve ne saranno e lo dico con cognizione di causa dato che non è certo la prima volta che la nostra parrocchia s’impegna in interventi di questo tipo: ho già stimolato le giovani coppie e i futuri sposi a farsi prossimi a questa famiglia, ma sono sicuro che tutta la comunità non farà mancare il suo contributo, materiale e affettivo».
Tre profughi, dunque, sono accolti a Calci. Altri sette , tutti nigeriani, invece, sono ospitati nella Casa della Carità di Pontasserchio, nel comune di San Giuliano Terme, in due appartamenti anch’essi gestiti dalla cooperativa sociale Paim che supporta pure l’intervento d’accoglienza della struttura d’accoglienza realizzata in occasione del Giubileo del 2000. Ma, probabilmente, altri percorsi d’accoglienza saranno avviati nelle prossime settimane: «Le parole del Pontefice sono uno sprone ad aprirsi ancora di più all’accoglienza di chi fugge da guerra e distruzione – ha spiegato il direttore della Caritas diocesana don Emanuele Morelli -: abbiamo alcune ipotesi di lavoro che, nei prossimi giorni, dovremo necessariamente approfondire con l’arcivescovo. Se ci saranno ulteriori possibilità, non ci sottrarremo sicuramente».
Poi, sempre per rimanere alle strutture di matrice ecclesiale, c’è la casa d’accoglienza di Arena Metato (San Giuliano Terme), lungo via San Jacopo, di proprietà della congregazione del Cottolengo e messa a disposizione della prefettura per l’emergenza profughi e affidata alla Croce Rossa. Oggi ne accoglie poco meno di novanta provenienti dalla Nigeria e dal Mali, ma anche dalla Costa d’Avorio e dal Pakistan. Ed è anche quella più complessa da gestire: pensata come una sorta di “hub”, in cui accogliere per un brevissimo periodo e smistare i migranti nelle piccole strutture del territorio, nei fatti si sta trasformando in un vero e proprio grande centro d’accoglienza tradendo quel modello dell’accoglienza diffusa che ha contraddistinto la Toscana e il territorio pisano negli utlimi. Il centro nei giorni scorsi è stato visitato anche dal direttore della Caritas don Morelli e dal Pro-Vicario Generale monsignor Gino Biagini, durante il quale gli ospiti di fede cattolica hanno chiesto e ottenuto la possibilità di utilizzare l’annessa chiesa di San Jacopo per i momenti di preghiera. (Vita Nova, 20 settembre 2015)