Pisa, sabato 1 ottobre – La conseguenza più evidente, in caso di approvazione del referendum costituzionale “è la fine del bicameralismo perfetto dato che la composizione del Senato sarà drasticamente modificata: da camera politica diverrà sede di rappresentanza territoriale”. E’ partito da qui il professore di diritto costituzionale della Scuola Sant’Anna Emanuele Rossi per spiegare, guidato delle domande del responsabile della redazione di Pisa de La Nazione Tommaso Strambi, le principali novità della riforma costituzionale al centro del referendum su cui gli italiani saranno chiamati ad esprimersi il 4 dicembre scorso.
Ad ascoltare, martedi scorso all’ex Convento dei Cappuccini di San Giusto (Pisa) oltre duecento persone, divisi fra la biblioteca storica del convento, che ha ospitato l’incontro, e il salone del ristorante, in cui è stata organizzata seduta stante una diretta streaming per consentire di seguire l’evento anche ai tantissimi che erano rimasti fuori. E’ andato oltre ogni più rosea previsione, dunque, il primo dei tre incontri promossi da un articolato cartello di associazioni, realtà del terzo settore e organismi pastorali che va dalle Acli alle associazioni Iris e Ora Legale, passando per Azione Cattolica, Agesci, Cittadinanza Attiva, Libera, Caritas Pisa, Fondazione ”Toniolo”, Uffici diocesani per la Pastorale sociale e del lavoro e per la pastorale giovanile e Chiesa universitaria di San Frediano.
Il professor Rossi ha spiegato le principali novità contenute nella riforma.
Composizione del senato. “Sarà composto da soli 100 rappresentanti fra consiglieri regionali (74), sindaci (21) e senatori nominati dal capo dello Stato che non saranno più a vita ma rimarranno in carica per sette anni. I dubbi riguardano soprattutto il mandato dei rappresentanti delle regioni: saranno eletti con il sistema proporzionale ma senza vincolo di mandato. Ergo, il rischio è che pure la seconda camera assuma una connotazione politica perdendo quella di rappresentanza delle autonomie”.
Sistema bicamerale differenziato. “Sarà quello che nascerà se sarà approvata la riforma in cui avrà un ruolo predominante la Camera dei deputati, soprattutto nel processo di produzione legislativa”.
Superamento della navetta ossia del “ping pong” fra un ramo e l’latro del parlamento delle proposte di legge, riducendo i tempi di approvazione delle norme. “Sul punto va fatta in primo luogo una premessa – ha spiegato Emanuele Rossi -: oggi le leggi hanno tempi medi di approvazione di circa quattro mesi, quindi non lunghissimi. In ogni caso, la riforma costituzionale prevede una plurità di processi di approvazione delle leggi, su cui si è molto polemizzato, anche se in realtà ve n’è uno che vale nel 90% dei casi: questo prevede che la Camera non abbia vincoli di tempo l’approvazione di una proposta di legge che poi deve essere inviata, comunque, al senato. Quest’ultimo ha 10 giorni per decidere se intervenire o meno, trascorsi i quali la legge è considerata approvata. Se, però, sceglie di fare proposte d’emendamento, allora deve redigerli e approvarli nei successivi trenta giorni. Quindi la legge torna di nuovo alla Camera per l’approvazione che, nuovamente, non ha limiti di tempo entro cui arrivare al via libera. Come si vede, dunque, il superamenteo del cosidetto ping pong è tutt’altro che scontato”.
Il voto a data certa. “E’ una facoltà che la riforma riconosce al governo: l’esecutivo può chiedere al parlamento di votare entro un certo periodo di tempo un determinato provvedimento considerato essenziale per la sua azione. E’ inteso, o dovrebbe esserlo, – ha evidenziato il costituzionalista- che, in caso di diniego da parte del parlamento, la logica conseguenza dovrebbero essere le dimissioni del governo”.
Riduzione dei costi della politica. “Diminuiscono perchè si riduce il numero dei parlamentari e perchè i senatori, siano essi consiglieri regionali o sindaci, non percepiscono alcuna indennità. Un ulteriore riduzione dei costi è collegata all’abolizione del Cnel”
Elezione del Capo dello Stato. “Sarà ancora eletto dal parlamento in seduta comune che, però, sarà composto da 730 rappresentanti e non più dagli attuali mille. E’ stato rivisto il quorum: per eleggere il presidente della Repubblica a partire dal quarto scrutinio serve una maggioranza pari ai 3/5 dell’assemblea e dal settimo corrispondente ai 3/5 dei votanti. In realtà l’utilità della distinzione fra maggiorenza dell’assemblea e maggioranza dei votanti è relativa dato che per l’elezione del Capo dello Stato solitamente partecipano anche i parlamentari più assenteisti. Alcuni hanno anche evidenziato il fatto che un quorum pari ai 3/5, in realtà, sia molto alto e difficile da raggiungere: Mattarella, ad esempio, non sarebbe stato eletto”