Gemme Terminali. Il rapporto sulle povertà 2019 di Caritas Toscana: la sintesi, il testo integrale e le slide

Nel 2018 le Caritas diocesane diocesane della Toscana hanno incontrato 24.060 persone, il 3,1% in meno rispetto all’anno precedente. “Un decremento lieve – si legge nel Rapporto Caritas 2019 -, apparentemente attribuibile più ad uno scostamento legato a cause fisiologiche interne al “sistema Caritas” piuttosto che ad un allentamento della morsa della povertà nel territorio regionale”. In valore assoluto, infatti, il decremento è minimo (-776) e se si amplia l’arco temporale di riferimento e si prende in considerazione il triennio 2015-2018 si continua a registrare una crescita del 9,2%. Ciascuna persona è stata incontrata, in media, 5,6 volte nel corso dell’anno. Il 53,2% è donna e il 46,8% uomo.

Il testo integrale del rapporto

Gemme Terminali.Il Dossier sulle Povertà di Caritas Toscana 2019 (2.3 MiB)

Le slide

Gemme Terminali. Le slide del Dossier sulle Povertà di Caritas Toscana 2019 (1.4 MiB)

Continua a restringersi la forbice fra italiani e stranieri. Il fenomeno è in atto ininterrottamente da almeno un decennio: nel 2007, infatti, oltre i quattro quinti (80,1%) degli utenti era immigrato contro il 19,9% degli italiani. Undici anni dopo le proporzioni sono significativamente cambiate se è vero che la quota dei primi è scesa al 62,3% (15.049 persone) e quella dei secondi è salita al 37,2% (8.939). In alcune diocesi, peraltro, già da qualche anno gli italiani sono più numerosi degli stranieri: è il caso di Massa Marittima-Piombino, Pitigliano-Sovana-Orbetello, Montepulciano-Chiusi-Pienza e Volterra.

Immigrati: il 73,7% vive in Toscana da almeno cinque anni. Peraltro la gran parte dei 15.049 immigrati incontrati, vive in Toscana da molto tempo. Appena il 6,8% di essi, infatti, è arrivato negli ultimi dodici mesi e circa un sesto (18,4%) è qui da tre anni. Viceversa, invece, quasi i tre quarti vive in Toscana da almeno cinque anni (73,8%) e oltre la metà da almeno dieci (58,5%). Ciò non significa, però, che gli arrivi più recenti, giunti prevalentemente attraverso gli sbarchi sulle coste dell’Italia meridionale e delle isole, siano del tutto irrilevanti: fra il 2015 e il 2018, infatti, i nigeriani sono aumentati del 59% (da 549 a 875 persone), i pakistani dell’83% (da 161 a 124), i ghanesi del 144% (da 45 a 110, i guineiani del 344% (da 16 a 71) e i gambiani addirittura del 580% (da 20 a 136). “In valore assoluto sono numeri ancora limitati – si legge nel Rapporto – ma gli incrementi percentuali sono comunque significativi”.

Poveri per il lavoro che manca … e per quello che c’è. E’ la mancanza di un’occupazione uno delle principali pietre d’inciampo delle persone seguite dalla Caritas per rompere le catene di dipendenza dalla rete dell’assistenza: il 68% di essi, infatti, non ha un lavoro, incidenza che sale al 75,2% con riferimento alle donne e al 73% per gli stranieri. Parallelamente, però, deve pure essere sottolineata la condizione di coloro che, pur avendo un lavoro, hanno comunque la necessità di ricorrere ai servizi delle Caritas: si tratta del 15% di tutte le persone incontrate e svolgono principalmente lavori pesanti, precari, pericolosi, poco pagati e penalizzanti socialmente. Fra gli impieghi svolti dalle persone incontrate nel 2018, infatti, troviamo operai e muratori ma soprattutto addetti al lavoro di cura, venditori ambulanti, braccianti, cuochi e facchini. Un terzo di essi (33%) è diplomato. Dunque, “per sfuggire alla trappola della povertà – commenta il Rapporto – sovente non basta più neppure avere un lavoro e sempre più spesso non è sufficiente nemmeno il famoso “pezzo di carta” suggerito ai figli da tanti genitori”

La marginalità abitativa. Il 12,9% delle persone incontrate (2.218) vive un una condizione di marginalità abitativa, molto prossima a quella di senza dimora. Circa un quarto (25,9%) ha un’abitazione provvisoria e il 61,2% una stabile. Fra quest’ultimi diminuiscono gli stranieri negli alloggi Erp, passati dal 10,1 al 4,6% del totale.

Solitudine e disgregazione familiare: la povertà relazionale. Solitudine, spesso in conseguenza dei processi di disgregazione familiare, è, invece, la condizione di maggiore disagio dal punto di vista relazionale. Circa un quarto (24,3%) delle persone incontrate, infatti, ha dichiarato di vivere da solo mentre coloro che vivono in famiglia si fermano a meno della metà (46,2%). L’analisi della condizione di stato civile, invece conferma come circa un quinto (20,9%) viva una condizione di disgregazione familiare (separazioni e divorzi).

La crescita dei giovani adulti. Anche se continuano ad avere un’incidenza ancora poco rilevante (5,4% del totale), dal 2007 ad oggi è cresciuto in modo esponenziale il numero di giovani adulti fra i 18 e 24 anni che, in un decennio sono passati da 120 a .1297, praticamente un incremento di nove volte.

I figli dei poveri. Un terzo delle persone incontrate (34,6%) ha detto di avere figli ma è verosimile che il dato possa essere sottostimato se è vero che talvolta l’informazione non emerge in fase di colloquio. In ogni caso l’informazione è comunque significativa se si considera che nelle le 8.288 famiglie che hanno esplicitato di avere figli, vivono 9.577 minori. Il rischio, insomma, è che la povertà possa tramandarsi di genitore in figlio

Povertà cronica. L’area della cosiddetta “povertà cronica”, ossia di coloro che sono conosciuti dalla Caritas da almeno sei anni continua ad essere leggermente più numerosa di quella delle persone incontrate per la prima volta nell’ultimo anno: 36,5 contro 30,6%.

 Il rapporto con i servizi: un’indagine in quattro centri d’ascolto. Prima di tutto il trasporto pubblico (71%), poi supermercati (69,4), farmacie (64,8) e negozi (62,9), quindi uffici postali (61,3) e banche (48). Soltanto dopo, e molto staccati, arrivano i servizi pubblici dal carattere maggiormente socio-assistenziale e di tipo culturale ed educativo, ossia sanitari (38,7), sociali (29,4) e biblioteche e centri d’aggregazione (25%). E’ la graduatoria dei servizi più conosciuti fra quelli presenti nei quartieri in cui vivono le persone incontrate dalla Caritas. Il dato emerge dall’indagine realizzata dalle Caritas della Toscana e dedicata proprio al rapporto fra povertà e servizi pubblici. Per farla sono stati selezionati quattro centri d’ascolto diocesani (Firenze, Livorno, Pistoia e Siena) somministrando per un mese lo stesso questionario a tutti gli utenti per un totale di 248 interviste.

Servizi pubblici: un sesto non li frequenta. Circa un sesto (17,3%) degli utenti Caritas intervistati ha dichiarato di non aver utilizzato alcun servizio pubblico. Fra coloro che, invece, li hanno utilizzati, il 57,3% ha frequentato i servizi sanitari, il 53,8% i servizi per l’impiego e il 45,3% i servizi sociali. Eppure il sostegno e l’accompagnamento da parte dei servizi sembra avere un impatto positivo sulle condizioni di vita degli intervistati: fra chi frequenta i servizi sociali, ad esempio, la quota di coloro che vivono in un’abitazione stabile sale al 76,6% (contro una media del 51,2%); per converso la marginalità abitativa riguarda il 45,8% di chi non li ha frequentati (contro il 18,9% di chi li ha frequentati).

Servizi pubblici: ok servizi sanitari e sociali, “bocciati” servizi per l’impiego. Anche il giudizio dei più poveri sui servizi pubblici è complessivamente positivo: l’80,6% considera utile le prestazioni ricevute dal servizio sanitario, percentuale che sale con riferimento ai servizi per l’infanzia (88,1%) e scende di poco per i servizi sociali (70,3%). L’eccezione è costituita dai servizi per l’impiego: qui la percezione degli utenti Caritas non è positiva dato che ha ritenuto utili i servizi ricevuti solo il 21,1% degli intervistati.

CARITAS Regionale 2019 012 Low
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