Pisa, 1° maggio 2021 – Nemmeno il lavoro basta più a proteggere dalla povertà. Al tempo della pandemia ancor più di prima. Sta di fatto che un terzo dei “nuovi poveri” (33,2%) ha dichiarato di avere un lavoro regolare (23,5%) o di lavorare “al nero” (9,7%), ben dieci punti percentuali in più rispetto alla quota delle persone seguite dai servizi Caritas anche prima della pandemia. Dati alla mano, in un anno, gli occupati in condizione di povertà sono raddoppiati (+98,8%) passando dai 170 del 10 novembre 2019 ai 338 del 2020.
Ancora più rilevante, però, è l’incremento percentuale di coloro che hanno dichiarato di lavorare nell’economia sommersa. Per quanto in numeri assoluti si tratti, probabilmente, di un dato ancora sottostimato data la scarsa propensione dei diretti interessati a dichiarare di lavorare “al nero”, la loro quota è più che triplicata nell’arco di 12 mesi (+225%): al 10 novembre 2019, infatti, coloro che durante i colloqui avevano esplicitamente affermato di essere occupati in modo del tutto irregolare erano stati appena 36. Nello stesso periodo del 2020 sono saliti a 117.
Si restringe sensibilmente l’area del lavoro stabile e regolare ma anche, sia pure in misura minore, quella dell’occupazione saltuaria e irregolare. E aumenta in modo significativo la completa non occupazione. È una delle conseguenze dell’effetto pandemia che emerge in modo plastico anche dall’indagine approfondita (a cura di Alessia Scerra) svolta dall’Osservatorio sulle Povertà e le Risorse su un campione di trenta persone incontrate ai servizi Caritas fra il 10 marzo e il 10 agosto 2020
Prima del lockdown | Dopo il lockdown | |
Lavoro saltuario e irregolare | 5 | 4 |
Lavoro precario | 5 | 4 |
Lavoro stabile | 18 | 11 |
Non occupato | 0 | 9 |
Inattivo | 2 | 2 |
Il testo integrale, la sintesi e le slide del 15esimo Rapporto sulle Povertà della Caritas di Pisa