Calci, martedì 9 ottobre 2018 – “Vivo qui da vent’anni e vorrei rimanerci”. Lo dice almeno tre o quattro volte Antonella Genchi, 57 anni, un trapianto di rene nel 2010 e otto anni di dialisi, durante l’incontro con l’arcivescovo Giovanni Paolo Benotto e il sindaco Massimiliano Ghimenti. Vive ai Ronchi, uno sparuto gruppetto di case sopra Montemagno: per arrivarci c’è da seguire una strada bianca,che si arrampica su pendii anneriti della montagna. E’ arrivato fin quassù monsignor Benotto, per ascoltare il disorientamento di chi aveva fatto di questo lembo di monte il proprio Paradiso: “Questo era il mio giardino e lì avevo da poco piantato i fiori – dice Antonella indicando nei dintorni -. Là dietro, invece, c’erano gli olivi: poco più di un quarto di ettaro, che coltivavo da sola”. Quel che rimane sono alberi neri rinsecchiti, piantati nella terra bruciata. Dietro casa della signora Genchi e su buona parte dei pendii retrostanti, dove sono ancora con ben visibili i segni del secolare lavoro dell’uomo realizzati in armonia con l’ambiente: terrazzamenti e muretti a secco, per adolcire i pendii, e per terra, lungo le strade bianche, canaline di scolo per far defluire l’acqua piovana.
L’incognita meteo
E’ il meteo, adesso il principale motivo d’apprensione di chi vive sul monte e anche di coloro che abitano di sotto, nella frazione di Montemagno e anche più giù. Dopo il fuoco, preoccupano le piogge che potrebbero arrivare in autunno e in inverno. Quasi non ne parla il sindaco Ghimenti, il primo cittadino della comunità calcesana che, nei giorni dell’incendio, ha passato giorni interi in piedi a seguire e guidare la macchina dei soccorsi. Come per scacciare un fantasma. Ma ha ben presente il rischio: «Calci è un esempio di grande solerzia anche negli interventi di messa in sicurezza – dice -: a nove giorni dalla fine del fuoco, la regione ha già stanziato un milione e mezzo di euro per i primi interventi. Due piccoli cantieri sono già stati chiusi e tre apriranno la prossima settimana».
E’ una corsa contro il tempo quella ingaggiata dalla comunità calcesana e anche di chi l’amministra. E contro le incognite del meteo. All’appello, per ora, manca il Governo: «Aspettiamo che sia dichiarato lo stato di calamità naturale, speriamo arrivi almeno entro fine ottobre – allarga le braccia Ghimenti -. Noi la documentazione l’abbiamo già spedita: la conta dei danni ammonta a circa undici milioni di euro, dieci dei quali a privati».
Le canoniche del Colle e della Pieve per chi ha perso la casa
«Io vorrei tanto rimanere qua»ripete Antonella, guardando la sua casa, dichiarata inagibile. E i monti anneriti. Intanto dormirà e vivrà nella canonica della Pieve dei Santi Giovanni ed Ermolao, messa a disposizione dalla parrocchia. «Gli abbiamo già consegnato le chiavi» dice a bassa voce monsignor Antonio Cecconi, parroco dell’Unità Pastorale della Valgraziosa. Quasi a non farsi sentire perché “il bene si fa ma non si dice” come era solito affermare Gino Bartali, l’eroe dell’infanzia di questo prete ruvido e schietto, appassionato di ciclismo e punto di riferimento della comunità calcesana prima, durante e dopo l’incendio. In un’altra casa canonica, quella della Chiesa di San Salvatore al Colle di Calci, si trasferirà momentaneamente Andrea Zanotto, giornalista dell’ufficio stampa dell’Azienda Ospedaliera: anche la sua casa è stata bruciata. «Anche a lui abbiamo dato le chiavi ieri sera»dice di nuovo con un filo di voce monsignor Cecconi.
“Custodi del Creato”
Parla poco e soprattutto ascolta anche l’arcivescovo Giovanni Paolo Benotto. «Sono qui – aveva detto nella sala consiliare del municipio di Calci dove è stato accolto dal primo cittadino e dal vice sindaco Valentina Ricotta -per esprimere la vicinanza della chiesa pisana alle comunità colpite, una fraternità che abbiamo provato a “dire” anche con un piccolo gesto che ha coinvolto tutta la diocesi, la colletta speciale di domenica scorsa. Perché la ferita che è ben visibile su questi monti non riguarda solo chi li abita, ma ci coinvolge tutti: la natura non è proprietà di qualcuno, ma tutti ne siamo custodi». Impossibile non pensare alla mano che ha provocato lo scempio: «Se penso che tutto questo ha un’origine umana e che la causa potrebbe essere dolosa, mi viene da dire che c’è davvero bisogno di tanta educazione al rispetto e alla salvaguardia del creato come ha ben evidenziato anche Papa Francesco nell’enciclica “Laudato Sì”. Che cosa dico ha chi commesso questo disastro? Si faccia avanti, se davvero ha preso coscienza di quel che ha combinato» ha concluso l’arcivescovo prima di sottoscrivere l’appello del Fai per il Monte Pisano quale “Luogo del Cuore”.
I volontari sul monte
Poco più giù ci sono Paola Enrichelli e il marito, intenti a risistemare quel che rimane della loro casa appoggiata alla montagna e da cui la vista si perde fino al mare: «Era il nostro Paradiso – dicono – e vogliamo che torni presto ad esserlo». Intorno alla loro la comunità calcesana: «Domenica sono arrivati 25 boy scout e sono stati tutto il giorno con noi a sistemare quel che è rimasto»dice Paola. I boy scout appunto. Li chiamano così, Paola e il marito. Ma, in realtà, sono i volontari che hanno dato la loro disponibilità attraverso lo sportello di agroecologia del Comune di Calci, un servizio che cerca di incrociare la disponibilità dei cittadini ad aiutare le comunità colpite con i bisogni di chi ha subito danni dal rogo.