“La città dei ragazzi”. Il sogno di padre Bruno Fedi raccontato da Renzo Castelli nella pagina di storia de La Nazione

Chi furono  gli sciuscià nell’immediato dopoguerra? Era i bambini abbandonati, o di famiglie estremamente povere. La parola, che il regista Vittorio De Sica aveva reso nota in tutto il mondo nel 1946 con il suo splendido film, era un termine usato dai napoletani per indicare i lustrascarpe nell’immediato dopoguerra, forse una forma italianizzata dell’inglese «shoe-shine», lustrascarpe. Ogni città dove la guerra era passata davvero aveva i suoi sciuscià, e Pisa fu tra queste.

Ancora oggi, a settant’anni di distanza, dobbiamo sentirci orgogliosi di quanto alcuni fecero in aiuto di questi bambini dando vita a un’istituzione assistenziale di straordinaria efficienza che si chiamò dapprima «Il villaggio del fanciullo», e poi, dal ‘48, «La città dei ragazzi». Già nell’autunno del 1945 padre Bruno Fedi (nella foto il busto che lo ricorda nel chiostro della Chiesa di San Francesco), frate francescano che era stato cappellano militare nella Grande Guerra e poi in Africa, aveva raccolto nel convento di San Francesco un gruppo di giovanissimi sbandati offrendo una minestra calda e un alloggio ancora precario. Ma già un anno dopo il suo atto di misericordia era diventato un progetto: dare a quei ragazzi un aiuto materiale e, soprattutto, un’educazione civile.

Busto_Bruno_Fedi

Fu questa la formula che prese corpo: costruire una società in miniatura, con le sue regole e le sue gerarchie. Dal ’46 al ’48 si chiamò «Il villaggio del fanciullo», poi diventò «La città dei ragazzi». Molti pisani ricordano ancora quando gli «abitanti del Villaggio», incolonnati, si recavano a prendere il trammino per recarsi al mare: come tutti gli altri, anche loro avevano diritto a una vera estate. La città applaudì all’iniziativa. Privati cittadini (vogliamo ricordare fra tutti Giovanni Suraci, un civile che fu una sorta di assistente di padre Bruno) ma anche numerose ditte offrirono denaro e merci mentre le case farmaceutiche pisane misero a disposizione i medicinali. Nella loro splendida comunità, gli abitanti del «Villaggio» di padre Fedi impararono mestieri diversi grazie al vivace artigianato che vi era stato impiantato: la falegnameria, l’officina, la tipografia e tutto quanto poteva rappresentare le attività presenti in una città ‘normale’. Ogni anno la comunità eleggeva anche un sindaco, che veniva dotato di fascia tricolore. Le autorità non fecero mancare il loro appoggio e la loro presenza: più volte il «Villaggio del Fanciullo» venne visitato dal sindaco Italiano Bargagna e dall’arcivescovo Ugo Camozzo. Intanto era arrivato anche in Italia il film «La città di ragazzi», girato negli Stati Uniti nel ‘38, nel quale Spencer Tracy interpretava padre Flanagan.

Forse sull’onda di quel successo, che fu clamoroso, un’insperata notorietà venne anche all’istituzione pisana. Nel 1950 gli ospiti del «Villaggio» furono i protagonisti di un cortometraggio intitolato «La favola d’oro» che fu presentato al Festival di Venezia e in quello stesso anno il «Villaggio del Fanciullo» di Pisa venne invitato, insieme ai ragazzi di altre trentadue nazioni, al campeggio internazionale in Lussemburgo. Quando, nel ’68, la «Città dei ragazzi» verrà chiusa, aveva assistito e ospitato quasi mille giovanissimi. Ma Padre Bruno Fedi era morto da tempo – il 2 settembre del 1958, a 62 anni – ed era stato sepolto nel cimitero suburbano, campo numero 1, tomba 252. Sei anni fa la giunta comunale deliberò di prorogare per cent’anni il diritto alla sua sepoltura.