In questi giorni si decide il destino di un paese, la Grecia, ma soprattutto di milioni di persone, i greci, che versano in condizioni di grave difficoltà economica, abitativa, sanitaria. Secondo l’Ufficio Bilancio del Parlamento greco, 6,3 milioni di greci, pari al 58% della popolazione, è ormai a rischio povertà. E il dato è in ulteriore aumento.
Una situazione di grave impoverimento generale, le cui conseguenze ricadono principalmente su giovani e bambini, come già evidenziato da Caritas Italiana nel Dossier “Gioventù ferita”. L’Europa è ad un momento di svolta. A 100 anni dalla grande Guerra, a 70 dalla fine della II guerra mondiale, dopo i milioni di morti e feriti e i disastri di allora, ancora oggi la classe politica del vecchio continente non sa trovare soluzione alle drammatiche crisi che stanno minando le basi dell’Unione Europea: la crisi economica in Grecia, la guerra in Ucraina, l’emergenza profughi. Nata per affermare la tutela della dignità materiale e morale dell’esistenza di ogni singolo cittadino l’Unione è attraversata da sussulti di egoismi e dall’incapacità di affrontare l’enorme problema delle crescenti disuguaglianze.
In Grecia e negli altri paesi colpiti dalla crisi economica, le politiche messe in atto finora hanno riguardato esclusivamente l’ambito economico, fiscale e finanziario, decidendo di investire solo sul salvataggio delle banche e non delle scuole, delle università, dei centri di ricerca, delle fabbriche, degli ospedali o più semplicemente delle famiglie. Le priorità economiche hanno preso il sopravvento su quelle sociali, e a pagarne il prezzo sono le categorie sociali più povere. “Ci sono troppi interessi particolari e molto facilmente l’interesse economico arriva a prevalere sul bene comune e a manipolare l’informazione per non vedere colpiti i suoi progetti” ricorda Papa Francesco nell’Enciclica Laudato Si’. E poi aggiunge: “Il salvataggio a ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura”. La risposta alla crisi ha ignorato “l’Europa sociale” e ha segnato l’inizio dello smantellamento di molti di quei meccanismi che finora avevano protetto le fasce più vulnerabili della popolazione. Il degrado o la scomparsa della solidarietà ha prodotto il dilagare di egocentrismi, la perdita del senso dell’interesse collettivo. I ricchi sono diventati più ricchi, e i poveri sempre più poveri. Si è persa l’occasione, come sottolinea ancora il Papa nell’ Enciclica – “per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici”. Bisogna tornare a guardare al benessere di una comunità nel suo complesso; c’è bisogno di un’alternativa all’approccio attuale, nella quale la coesione e l’inclusione sociale assumano un ruolo altrettanto significativo rispetto alla dimensione economica. Occorre riattivare la solidarietà, tra popoli, paesi, città e persone. Già San Giovanni Paolo II esortava: L’Europa deve farsi parte attiva nel promuovere e realizzare una globalizzazione “nella” solidarietà. (..) una sorta di globalizzazione “della” solidarietà e dei connessi valori di equità, giustizia e libertà, nella ferma convinzione che il mercato chiede di essere « opportunamente controllato dalle forze sociali e dallo Stato, in modo da garantire la soddisfazione delle esigenze fondamentali di tutta la società»(E.E. 175)
La Grecia assieme all’emergenza profughi e alla guerra in Ucraina può distruggere il progetto politico dell’Europa, oppure proprio da queste emergenze può partire un cambiamento, l’inizio di un’inversione di rotta che rimetta la solidarietà, la democrazia, i diritti al centro della politica europea. I diritti di tutti, non i privilegi di pochi.
Bisogna rafforzare la consapevolezza che siamo una sola famiglia umana e non c’è spazio per la globalizzazione dell’indifferenza. Non è ammissibile che una nazione europea non abbia la solidarietà degli altri stati europei; vuol dire che l’Europa non è una comunità. Non è in gioco il destino della Grecia ma quello dell’intera Europa.