Pisa, lunedi 31 dicembre 2018 – Il ricordo di monsignor Antonio Cecconi, oggi parroco dell’Unità Pastorale della Valgraziosa e in passato a lungo vicedirettore della Caritas Italiana, di monsignor Giovanni Nervo che di Caritas Italiana è stato fondatore e primo direttore in occasione delle celebrazioni per il centenario dalla nascita del sacerdote.
Tre fotogrammi per ricordare don Giovanni Nervo. Il primo è una sera dell’inverno 1978/79. È il mio primo incontro personale con lui, da pochi mesi sono stato nominato direttore della nascente Caritas della mia diocesi, Pisa. L’arcivescovo ha ceduto alle insistenti pressioni “di Roma”, cioè di don Giovanni, per costituire la Caritas. In settembre ho partecipato al Convegno nazionale per capire di che cosa si tratta. Bisogna dissodare il terreno. Per questo invito don Giovanni, arriva alla stazione di Pisa in una tarda e fredda sera invernale, è una delle tante tappe dei suoi tanti viaggi per l’Italia e nel mondo. Lo accompagno al Seminario, dove alloggerà, e lui mi chiede soltanto di poter avere un po’ di latte caldo. Probabilmente da accompagnare con un’aspirina per fronteggiare un malanno di stagione.
Il giorno dopo incontra i preti al mattino, poi a pranzo dal Vescovo – per insistere sull’importanza della proposta pastorale – e nel pomeriggio parla a un gruppo di laici delle parrocchie e delle associazioni più sensibili. Ma soprattutto ci fermiamo lui ed io in una stanza disadorna dell’Arcivescovado – una sede Caritas non c’è ancora – per darmi una serie di istruzioni, indicazioni, riferimenti, incoraggiamenti. Comincia la mia storia di “prete-Caritas” che mi segnerà per tutta la vita, con lui come punto costante di riferimento. Saranno, quei primi anni, segnati da due emergenze: il terremoto dell’Irpinia e l’arrivo dei profughi del Viet Nam e poi della Cambogia. La loro accoglienza in otto parrocchie pisane e il gemellaggio con alcune parrocchie della diocesi di Avellino saranno per la mia diocesi l’avvio concreto di quella pedagogia dei fatti di cui don Giovanni è stato impareggiabile maestro.
Secondo fotogramma: Malosco, sede di tanti bellissimi, impegnativi e indimenticabili seminari della Fondazione Zancan. Ho ancora davanti agli occhi don Giovanni nella cappella su all’ultimo piano, dove ogni mattina c’è la Messa. Anche se uno cerca di salire per tempo, lui c’è già. Primo nella preghiera e poi all’ultimo posto, cedendo sempre ad altri, in modo gentile ma fermo, la presidenza dell’Eucaristia. Ma sullo sfondo di Malosco scatto un’altra istantanea: don Giovanni, con i suoi scarponi e un cestino in mano,che sale per il bosco per poi portare in cucina i funghi che finiranno in un buon risotto.
Ultimo fotogramma: Roma, viale Baldelli dove la “sua” Caritas è nata. Io ci arrivo quando lui ha già concluso da un bel po’ il suo mandato, ma partecipa di diritto in quanto fondatore alle riunioni del Consiglio Nazionale. La sua è una presenza vigile, prende la parola quando c’è da puntualizzare su aspetti di sostanza, indicare il cammino in fedeltà a quella natura e quelle finalità che lui, insieme a Paolo VI e al Vescovo Bartoletti, ha in modo determinate elaborato – e quasi direi partorito. In particolare ricordo un suo intervento accorato in occasione del cambio dello Statuto voluto dalla CEI, segnalando l’incongruenza di una separazione di attribuzioni: il Consiglio Nazionale continua ad essere la sede deputata alla stesura del programma, ma la competenza sul bilancio passa alla Presidenza. Mentre i Consiglieri sono per la maggior parte eletti dalla Caritas diocesane, nella presidenza la maggioranza dei membri è di nomina CEI, e don Giovanni, con rispettosa fermezza, segnala come il programma approvato potrebbe trovarsi menomato dal taglio di risorse economiche.
E poi, ma questi non sono fotogrammi ma biglietti che conservo con affetto vergati dalla sua inconfondibile grafia, inviati in varie occasioni: auguri, passaggi della mia vita di prete, lettura di cose da me scritte. Memorie che porto nel cuore.
don Antonio Cecconi
13 dicembre 2018