Per la tua misericordia…
don Emanuele Morelli
Direttore Caritas diocesana di Pisa
È iniziato. L’apertura solenne della porta santa del 13 dicembre scorso ha dato inizio al Giubileo della Misericordia. Aprire una porta (in genere!) significa rendere fruibile quello che custodisce. Ecco la chiesa custodisce nel proprio cuore la misericordia ed ora, condividendo la misericordia del Padre è chiamata a contaminare il mondo. Per questo adesso tocca a noi, è compito nostro, non possiamo rimandare la responsabilità che il giubileo ci consegna.
In questo spirito, come chiesa pisana, ci siamo dati l’obiettivo di costruire “Misericordia Tua”, l’opera segno della nostra chiesa pisana per il giubileo della misericordia. Una casa di accoglienza per ex detenuti, ponte tra il dentro del carcere ed il fuori della cosiddetta ma spesso presunta normalità, seconda opportunità per gente che ha fatto del male e per questo sta pagando ma che ha capito che, perché amata, può sperimentarsi diversa, migliore e per questo cercare un nuovo senso alla propria vita nei percorsi del dono e della solidarietà.
Ma sono convinto che il giubileo ci riguarda soprattutto perché è l’opportunità che ci viene offerta per sperimentare la misericordia, il perdono e la tenerezza di Dio nella nostra vita quotidiana. Fare esperienza di perdono è l’unico modo per diventare portatori di misericordia.
Questo è il tempo in cui aprire la porta del nostro cuore all’incontro con la misericordia di Dio.
Come sarebbe bello se in questo anno anche noi come Pietro prorompessimo nel pianto di chi consapevole di aver tradito, sperimenta la tenerezza dello sguardo di Gesù che mai giudica ma sempre usa misericordia.
Ma non basta. In questo anno è compito nostro far sperimentare la misericordia a chiunque è schiacciato dal male. Il Signore non ci perdona perché siamo buoni ma perdonandoci ci rende buoni. Tocca a noi amare e far sperimentare l’amore a chiunque amato non è! Tocca a noi annunciare che la tenebra non vince e che l’unico tempo concesso alla tenebra è da “mezzogiorno alle tre del pomeriggio” e poi è solo tempo di luce, di vita e di pace. Per questo è compito nostro farci prossimi alla vita ferita per fare gesti di riconciliazione, ricostruire legami spezzati e gettare ponti su tutti gli abissi.
Ma non basta ancora. È compito nostro contaminare con percorsi di misericordia anche le nostre relazioni sociali. Papa Francesco ci ricorda che “Sì, è proprio così. Dobbiamo anteporre la misericordia al giudizio, e in ogni caso il giudizio di Dio sarà sempre nella luce della sua misericordia. Attraversare la Porta Santa, dunque, ci faccia sentire partecipi di questo mistero di amore, di tenerezza. Abbandoniamo ogni forma di paura e di timore, perché non si addice a chi è amato; viviamo, piuttosto, la gioia dell’incontro con la grazia che tutto trasforma”.
L’apertura della porta santa ci chiede di essere non una chiesa che aspetta ma una chiesa che incontra, ascolta, accoglie, serve… in una parola ama-
Per questo “la misericordia non è un valore o un’opera ma una relazione”
Questo definisce il ruolo della Caritas, sempre, ma più che mai in questo anno santo.
Animare tutta la comunità ecclesiale perché si spinga incontro all’umano, perché si sperimenti nella compagnia degli uomini, perché scelga la relazione come cifra della propria identità.
Sono profondamente convinto che in questo anno giubilare insieme, come chiesa, siamo chiamati a porre dei segni significativi, le opere di misericordia corporali e spirituali, opere di carità che abbiano il sapore della concretezza, siano verificabili ed esemplari, rispondano a bisogni reali e raccontino che la carità è “opus proprium” della chiesa… ma sono ancora più convinto che l’opera più importante da compiere è che ci sia una chiesa che ne sia il soggetto.
Ecco allora che “essere chiesa”, una chiesa in comunione e al servizio, con le porte spalancate e in uscita, una chiesa che “odora delle pecore” e che incontra l’essere umano con viscere di misericordia, una chiesa che si piega senza giudizio sulle ferite dell’umanità per versarvi l’olio della speranza ed il vino della consolazione… è l’opera segno più necessaria ed urgente in questo anno giubilare.
Credo che le nostre parrocchie, le unità pastorali, i vicariati della nostra diocesi prima di mettersi a fare cose buone possono riscoprire la dimensione comunitaria del loro esercitare la carità, possono fare in modo che fare il bene faccia bene prima di tutto alla comunità che lo fa, possono fare in modo che il bene fatto bene faccia crescere il senso di comunione e sia autentica esperienza di chiesa. Utilizziamo questo anno per essere la chiesa sognata dal santo Concilio, una comunità dove “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (Gaudium et Spes 1).