(Da Avvenire, 18 agosto 2021) Si sprecano i paragoni tra quel che è successo in Afghanistan e quello che fu il Vietnam. Io vorrei rilanciare il confronto a proposito della sorte dei profughi attuali e potenziali, di tutti coloro che temono per la propria vita avendo collaborato col precedente governo e con i “liberatori” stranieri, ricordando la vicenda che portò in Italia molti profughi vietnamiti e anche cambogiani e laotiani. L’indimenticabile don Giovanni Nervo, fondatore di Caritas Italiana, ha raccontato quel che avvenne all’inizio del 1980 dopo una sua visita ai campi profughi della Malesia che accoglievano i boat-people fuggiti con l’avvento del regime comunista anche nel Vietnam del Sud (da: “La profezia della povertà”, ed. San Paolo, pag. 72):
“Il primo impegno fu di pressione su Governo affinché lasciasse entrare in Italia un certo numero di profughi. Il braccio di ferro durò diversi mesi e alla fine riuscimmo a ottenere il permesso di ingresso per 3.000 persone. Ad una condizione, però: che a tutti che a tutti quelli che entravano fosse da noi assicurata l’accoglienza per un anno, quindi casa, lavoro e assistenza. La risposta delle Diocesi fu superiore a ogni nostra aspettativa, tanto che ricevemmo 10.000 offerte di sistemazione completa. Costituimmo 12 centri di prima accoglienza distribuiti in tutta Italia, da Taranto a Trento, assistemmo le ambasciate nella selezione dei campi profughi della Malesia e della Thailandia e curammo l’accoglienza e l’inserimento dei 3.000 esuli vietnamiti, cambogiani e laotiani che eravamo riusciti a fare arrivare”.
Aggiungo di mio quello che riuscì a fare a Pisa la nascente Caritas diocesana: supporto alla prima fase di accoglienza che avveniva in due colonie di Marina di Pisa e di Calambrone e poi inserimento nel nostro territorio otto famiglie, trovando loro casa e lavoro e soprattutto sviluppando legami comunitari grazie alle parrocchie, al volontariato, al servizio civile degli obiettori di coscienza. Ricordo un incontro pubblico nel salone della Camera di Commercio, con don Pasini di Caritas Italiana che illustrò il progetto, un sacerdote vietnamita che raccontò la tragedia della sua gente e l’allora sindaco (PCI) Luigi Bulleri, che cercò di conciliare il sentimento umanitario verso i profughi e la solidarietà col comunismo in salsa vietnamita.
Ora una questione analoga si pone in modo eclatante per chi è o sarà profugo dall’Afghanistan (a meno che i talebani non abbiano cambiato pelle). Accogliere è una sfida, richiede generosità, intelligenza, volontà politica e atti concreti conseguenti e durevoli. Se allora, per accogliere i profughi del Sud Est asiatico, bisognò convincere un governo democristiano renitente e fare i conti con chi inneggiava al Vietnam finalmente liberato, oggi il percorso sarà più agevole? Forse, se saremo in tanti a metterci in gioco, a farlo tutti insieme: la politica, l’economia, la società civile e non ultima la comunità cristiana.
don Antonio Cecconi – Pisa