Rapporto Povertà Caritas 2019: un cuore che vede e la logica delle opere segno. La prefazione dell’arcivescovo di Pisa Giovanni Paolo Benotto

Inchieste e statistiche, percentuali e numeri assoluti, sono ormai diventati indici abituali del modo con cui si cerca di leggere l’andamento del mondo, delle relazioni sociali e delle problematiche che attanagliano la nostra esistenza; si scorrono le cifre, e per quanto possibile, si cerca di capire ciò che viene evidenziato; si fanno i confronti con i dati degli anni precedenti; si cerca di prendere coscienza delle tendenze che si prospettano per il futuro e non di rado, anno dopo anno, si torna allo stesso rituale senza che siano stati cercati e adottati interventi risolutori dei problemi evidenziati, con in più, come peso, il senso dello scoramento di chi si sente impari di fronte a qualcosa di ineluttabile.

Non è questo il senso del “Rapporto povertà” della Caritas diocesana di Pisa che da anni cerca di leggere la realtà dei poveri che vivono sul nostro territorio e che proprio grazie ai dati che emergono da questi rapporti annuali ha cercato di offrire qualche segnale di risposta attraverso quelle iniziative che siamo abituati a chiamare “opere segno” della carità ecclesiale.

“Opere segno” perché non hanno né l’ambizione né la possibilità di risolvere i gravi problemi che la nostra società si sta trascinando dietro e che spesso vanno incancrenendosi anche per l’incapacità di progettare e la non disponibilità di quei mezzi che sarebbero necessari per interventi risolutori.

“Opere segno” che sono nate quale piccola risposta della carità ecclesiale alle necessità più impellenti, e che vorrebbero stimolare la “reattività” positiva delle Istituzioni Pubbliche che hanno il dovere di giustizia di rispondere in maniera adeguata alle necessità dei singoli cittadini e dell’intera compagine sociale.

“Opere segno” che non sono il frutto di deleghe che la Chiesa si è assunta per operare al posto di altri, bensì per iniziare a dare risposte che possano essere innovative, quasi delle “apri piste”, per interventi più strutturati e più diffusi sul territorio, così da non lasciare mai nessuno da solo in situazioni che ledono la stessa dignità della persona umana.

E’ secondo questa traiettoria che sono nate anche a Pisa, in ambito ecclesiale, le Mense dei poveri, il servizio delle docce, la Cittadella della Solidarietà, dedicata a San Ranieri, la Casa “Misericordia Tua” per il reinserimento degli ex detenuti a ricordo dell’Anno giubilare della Misericordia, il servizio di microcredito per contrastare il grave fenomeno dell’usura, oltre alle tante iniziative di carità che da sempre impegnano parrocchie e Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli nella distribuzione di pacchi spesa, di vestiti e di visite alle famiglie. Il tutto coordinato e monitorato dai Centri di Ascolto della Caritas che ci permettono di avere più presente la situazione reale del panorama delle vecchie e nuove povertà.

Se i dati elaborati nel nostro “Rapporto 2019” per certi versi, non si discostano di molto da quanto evidenziato negli ultimi anni, messi però in raffronto con altri dati riguardanti aspetti più ampi del vivere sociale, nel caso specifico quelli elaborati dalla Scuola Superiore Sant’Anna, ci si accorge come questioni sociali e stili di vita problematici sul piano della povertà, sono spesso in stretta relazione con fenomeni della vita del nostro tempo ritenuti ormai “normali” e sui quali non mi pare che si stia appuntando un seria e articolata riflessione. Penso, ad esempio, alla decrescita del tasso di natalità, alla crescita costante del numero di famiglie che si sfasciano, alla perdita del lavoro da parte di persone di mezza età; al non inserimento lavorativo dei più giovani e all’abbandono scolastico che ha ancora numeri significativi. Davvero non è tramontato quell’antico adagio per cui o tutto si regge in una reciprocità solidale o tutto rischia di franare in una rovina generale.

Viene in mente un episodio del Vangelo e ad una frase che Gesù rivolse ai suoi discepoli, quando, dopo aver moltiplicato i pani per cinquemila persone, il Signore si fa incontro ai suoi che navigavano sul lago di Galilea. I discepoli lo ritengono un fantasma e gridano di paura: “Egli parlò loro e disse: Coraggio, sono io, non abbiate paura! E salì sulla barca con loro e il vento cessò. E dentro di sé erano fortemente meravigliati, perché non avevano compreso il fatto dei pani: il loro cuore era indurito” (Mc 650-52).

Per capire e comprendere, cioè per saper leggere in maniera adeguata la vita nostra e della gente del nostro tempo e per poter accoglierla e abbracciarla con un atteggiamento interiore di simpatia, forse anche noi abbiamo bisogno di ripartire da quel necessario “sgrossamento” del cuore che ci renda davvero sensibili alle necessità del prossimo. Senza un “cuore che vede”, potremmo possedere tutti i dati più esatti sulle problematiche del nostro tempo; avere anche i mezzi necessari per intervenire, ma rischieremmo ugualmente di fermarci alle periferie dei problemi, perché non sapremmo andare oltre i numeri, per riconoscere ed abbracciare le persone rappresentate da quegli stessi numeri.

E’ sempre alle persone e ad ogni persona, che siamo chiamati a guardare con cuore aperto e disponibile, per riconoscere in ognuno un fratello o una sorella in cui è impresso il volto stesso di Cristo Gesù. E’ questo lo sforzo che oggi ci viene chiesto per riuscire a dare risposte non solo tecniche o di efficienza a domande che chiedono sempre più spesso lo spazio amicale della relazione e dell’ascolto fraterno.

L’augurio è che “leggendo” in maniera adeguata i dati del nostro “Rapporto 2019” sappiamo riconoscere negli uomini e nelle donne che incontriamo “un altro me stesso” a cui dare la risposta dell’amore.

+ Giovanni Paolo Benotto

Arcivescovo