Sono partiti in quindici guidati da suor Elena Bolognesi della Comunità delle Sorelle del Signore di Milano, per sette anni in Siria e fondatrice della comunità monastica di Mar Musa insieme a padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita italiano rapito nel 2013 e di cui da allora non si hanno più notizie. Tutti giovani, quattordici della diocesi di Milano, e uno, Andrea Cioni, 25 anni, dottorando in Giurisprudenza, di quella di Pisa, che ha conosciuto quest’esperienza grazie ai gesuiti della parrocchia di San Frediano.
Per due settimane, fra la fine di luglio e l’inizio di agosto, sono stati ospiti della parrocchia latina di Aleppo, un’esperienza di servizio e condivisione nella città di Aleppo, prima dell’inizio del conflitto siriano il centro economico più importante del paese e patrimonio mondiale dell’Unesco, per quattro anni (2012-2016).
Quello che seguono è il diario quotidiano di quell’esperienza scritto da Andrea Cioni. Lo presentiamo in versione integrale diviso in 11 sezioni. I lettori di questo sito potranno leggerlo ogni domenica e mercoledì. Anche le foto a corredo degli articoli sono legate a quell’esperienza e sono state scattate da Andrea Cioni cui va il nostro ringraziamento per aver messo a disposizione tutto il materiale (fp).
2 agosto 2019. Sesto giorno ad Aleppo.
Questo pomeriggio siamo stati accompagnati nel quartiere di Midan a visitare le case di alcune famiglie colpite dalla guerra. La nostra guida è Noubar, un uomo alto e distinto. È immediatamente percepibile che è un individuo fuori dal comune, ma che è stato colpito profondamente dalla guerra. Noubar è molto restio a parlare di sé, ma dopo una certa insistenza finalmente decide di aprirsi: prima del conflitto era il direttore generale della Banca Centrale Siriana e si era da poco trasferito ad Homs, a seguito di un’importante promozione.
Homs nel 2011 è stata la prima città dove sono iniziate le manifestazioni pacifiche, il popolo chiedeva più democrazia, pian piano però sono comparse le pistole prima e le bombe poi, in un batter d’occhio le manifestazioni sono diventate vere e proprie guerriglie.
Lo sguardo di Noubar si fa cupo. Racconta che, proprio per il ruolo apicale che ricopriva, i cecchini hanno più volte attentato alla sua vita mentre era in ufficio. Poi sono iniziati gli attentati terroristici alla banca. La situazione era insostenibile, ma lui si è sempre rifiutato di chiudere la sua filiale, nelle loro mani c’erano i rispiarmi delle famiglie, dall’erogazione del loro credito dipendeva la sopravvivenza di moltissime persone. Ad un certo punto i terroristi hanno accerchiato la banca. Con l’aiuto dell’esercito regolare siriano i dipendenti hanno lavorato ininterrottamente per 40 giorni per cercare di salvare il denaro, e non lasciare i sudati risparmi nelle mani dei miliziani.
Una volta finito il lavoro, l’unica strada possibile era quella di aprirsi, con le armi, una via di fuga. Anche i dipendenti hanno dovuto fare la loro parte: “Ho imbracciato un mitra, ho sparato, ho volato su un elicottero, ho salvato la mia vita; sembravo uno 007, peccato che fosse la vita reale, peccato che fosse la mia vita”.
Scampato alla morte, nel 2012 si è trasferito ad Aleppo; dopo un mese dal suo arrivo la guerra è iniziata anche qui: “Sì, lo so, sono un uomo fortunato”, dice ironico.
Perché oggi Noubar è con noi? Una volta tornato ad Aleppo, ha trovato la sua casa devastata da un missile e tutte le banche chiuse. Noubar non aveva più niente, e proprio in quel momento, ha incontrato Padre Ibrahim e la sua parrocchia. Per questo motivo, una volta finito il conflitto, Noubar dopo aver ricostruito la sua casa con l’aiuto dei parrocchiani e ritrovato il suo vecchio lavoro, ogni giorno -uscito dall’ufficio- viene in parrocchia per fare il volontario e prendersi cura di chi ancora non è uscito dal dramma della guerra.
Nella prima casa, in cui entriamo, siamo accolti da una bella famiglia, marito, moglie e due stupendi bambini. Lui, laureato, era dipendente all’aeroporto di Aleppo, lei insegnante. Oggi lui è ancora disoccupato, lo stipendio di lei non basta a sostenere tutti. A prendersi cura di loro e ad aiutarli a sbarcare il lunario ci pensa la parrocchia. Durante la guerra si sono rifugiati in una città vicina: un missile aveva distrutto la loro abitazione. Se oggi sono di nuovo fra queste mura è ancora una volta grazie alla chiesa. “I nostri bambini desideravano con tutto il cuore tornare a casa”. Chiedono il perché siano rimasti in Siria: “Questa è la nostra casa, qui abbiamo vissuto, qui è la nostra vita”.
Nella seconda casa che visitiamo ci accoglie Amal, un’anziana signora: lo fa tenendo in braccio Angel, la sua nipotina. Anche la casa di Amal è stata ricostruita dopo la guerra grazie alla Parrocchia Latina. Amal racconta che fa la cuoca e che ha tre figli: questi erano troppo piccoli durante il conflitto ed il marito era da poco morto. Per questo ha dovuto lavorare contemporaneamente presso quattro diversi ristoranti prestando servizio tutti i giorni, tutto il giorno. Oggi un figlio è dovuto scappare in Libano e gli altri due sono nell’esercito. Amal è di nuova sola. Ma a riscaldare il suo cuore ci pensano la nipote e la giovanissima nuora. Anche a lei viene rivolta la stessa domanda: “Perché non è scappata durante la guerra?” “Dove sarei mai dovuta andare? Questo è il mio posto nel mondo, questa è la mia casa”.
3 e 4 agosto 2019 Settimo e ottavo giorno ad Aleppo.
I principali problemi di Aleppo oggi sono certamente la mancanza di lavoro, la difficoltà di far girare l’economia, la diminuzione del potere di acquisto delle famiglie. Gli abitanti raccontano che paradossalmente l’economia era più fiorente sotto la guerra: i miliziani di Daesh, infatti, grazie ai finanziamenti stranieri, al commercio di petrolio e ai reperti archeologici trafugati, portavano molta ricchezza in città. Oggi tutto sembra assolutamente fermo. L’embargo certamente non aiuta, anzi colpisce proprio le fasce più deboli della popolazione, quelle che più delle altre hanno già subito la devastazione derivante dal conflitto. Senza lavoro, senza reddito, senza attività commerciali, alla ricostruzione mancano le basi necessarie per divenire realtà. Per questo la Parrocchia Latina, oltre agli altri servizi, aiuta anche la popolazione a ripartire economicamente. Qui le chiamano attività di microcredito. In realtà, si tratta di vere e proprie donazioni; Padre Ibrahim, parlando delle attività benefiche della parrocchia, è solito pronunciare una frase: “Non vogliamo che la chiesa sia vista come una banca, ma come una madre che aiuta i propri figli unicamente per amore nei loro confronti”.
Ci viene data la possibilità di parlare con alcuni dei beneficiari dei progetti di finanziamento della parrocchia: lavorano tutti nei quartieri più poveri della città. Il primo luogo in cui entriamo è un caffè, gestito da due giovanissimi abitanti di Aleppo. Raccontano che durante la guerra volevano andarsene, ma poi hanno capito che Aleppo era l’unico luogo in cui volevano vivere. Allora hanno deciso di rimboccarsi le maniche e aprire una piccola attività: un caffè alternativo per giovani. Per farlo però necessitavano di un’ingente somma di denaro; occorreva soprattutto acquistare la costosa macchina del caffè. Un giorno hanno preso coraggio e hanno chiesto una sovvenzione alla parrocchia che, dopo aver valutato la fattibilità e la serietà del progetto, ha fornito i duemila euro necessari. “Abbiamo realizzato il nostro sogno”, dicono.
Il secondo incontro è con Josef, prima della guerra faceva l’avvocato, poi è entrato forzatamente nell’esercito ed ha svolto il servizio militare per più di otto anni e mezzo. I giovani italiani gli chiedono come sono stati gli anni di leva: “In quegli anni ho visto morire molti amici al mio fianco; oramai ai miei occhi quasi tutte le difficoltà della vita sembrano scherzi.” Josef ha 31 anni, si è da poco sposato, la futura moglie lo ha aspettato per tutti i lunghissimi anni di guerra. Grazie alla parrocchia, una volta tornato, ha potuto aprire un negozio di abbigliamento: “Ora posso vivere del mio lavoro, mantenere la mia famiglia, avere speranza per il futuro. La mia vita sta finalmente ricominciando”.
L’ultimo incontro è con un giovanissimo elettricista. Anche lui è stato soldato durante tutto il periodo della guerra. Prima del conflitto era un ingegnere elettronico, ma gli anni fuori città sono stati molti. Ora trovare lavoro ad Aleppo è veramente difficile. Oggi grazie alla parrocchia ha aperto, all’interno del negozio del padre, un piccolo spazio in cui svolge la sua attività di elettricista. “Ho trentatré anni, ho trascorso i miei migliori anni sotto le armi, grazie al mio lavoro oggi posso pensare finalmente a costruirmi un futuro”.