La vicenda della studentessa senegalese vittima d’insulti razzisti perché brava a scuola c’interessa e ci coinvolge prima di tutto perché è una storia che conosciamo. E, seguendone il cammino, abbiamo visto giorno dopo giorno, concretizzarsi un progetto di vita: il posto di lavoro da operaio per il capofamiglia, la figlia che s’iscrive alle superiori, prende dieci in diritto e sogna di fare l’avvocato. Una storia d’integrazione, che si sta concretizzando, nonostante la crisi, grazie al sudore e alla fatica della prima generazione di migranti, quelli che per lungo tempo hanno fatto tutti quei lavori che gli italiani e i pisani non volevano più fare in quanto troppo faticosi, malpagati e, spesso, anche precari. Bocconi molto spesso amari da ingoiare per la felicità e il futuro dei figli.
La storia della studentessa senegalese, infatti, c’interessa anche perché è emblematica del presente e del futuro prossimo che ci attende: nel 2012/13 nelle scuole della provincia erano iscritti 6.025 studenti stranieri, l’11% del totale, e di il 44,3% di essi è nato in Italia. Sono i cosiddetti “immigrati di seconda generazione”, bambini nati e cresciuti nei nostri quartieri e che non sono più disponibili a fare le professioni dei loro genitori: sognano di diventare architetti e ingegneri,piuttosto che imprenditori o, appunto, gli avvocati. Vogliono crescere e realizzarsi nella vita sociale e professionale e, ovviamente, hanno il sacrosanto diritto di provarci: impedirglielo significa sprecare alcune delle energie migliori della nostra società e preparare un futuro di conflitti.
Nelle città e nei territori antirazzisti, come quello pisano è importante chiamare le cose con il loro nome: quello di cui è stata vittima la studentessa senegalese sono episodi di razzismo becero e così vanno definiti; il fatto che a commetterli siano stati ragazzini della stessa eta della vittima è un’aggravante e non certo un’attenuante. Pisa non è un territorio razzista. Ma se vuole continuare a rimanerlo deve prendere sul serio alcuni campanelli d’allarme che già avevano suonato negli ultimi anni: una piccola ricerca dell’Osservatorio sociale provinciale, fatta nel 2008 su un campione di 94 studenti stranieri pisani fra i 14 e i 24 anni, evidenziò, ad esempio, come circa il 10% di essi avesse posto “razzismo e solitudine” fra i principali problemi incontrati nel loro percorso d’inserimento e socializzazione nel nostro territorio.
La storia della studentessa senegalese, però, c’interessa anche per un altro motivo. Non conosciamo solo la ragazzi ama anche la scuola che frequenta: è uno dei tre istituti superiori di Pisa che frequentiamo promuovendo percorsi di educazione a solidarietà, cittadinanza attiva e stili di vita coinvolgendo i ragazzi in esperienze di servizio alla loro portata accanto a chi, nella nostra città, vive una situazione di difficoltà. E per questo ci sentiamo coinvolti e parti in causa.
Le autorità scolastiche competenti è giusto che prendano tutti i provvedimenti più opportuni nei confronti degli studenti che si sono resi responsabili di azioni così becere e gravi. Consapevoli, però, che quei provvedimenti, di qualunque tenore essi siano, sono una “bocciatura” per tutti noi. Genitori e insegnanti, educatori, associazioni, parrocchie, istituzioni, mondo della scuola, partiti e organi d’informazione: difficile che qualcuno possa alzare la mano e auto-assolversi.
Noi di sicuro non ci sentiamo di farlo: continueremo a rimanere accanto alla famiglia della studentessa, sostenendola nel suo percorso di studio sperando di vederla realizzare il sogno di diventare avvocato. E ci mettiamo a disposizione di preside e insegnanti per avviare percorsi educativi anche in quella classe e per proporre esperienze di servizio nelle nostre strutture ai ragazzi protagonisti degli episodi (una volta che saranno individuati) magari proprio a partire un’attività di volontariato accanto ai cittadini stranieri. A 14 anni si è sempre in tempo per cambiare, non possiamo arrenderci.